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sabato 26 gennaio 2019

AROUND THE FOUR: A POSSIBLE STARTING POINT

Unless you change and become like little children, you will never enter the kingdom of heaven” (Matthew 18:3).


Ideas, reality and video
There are current ideas, sometimes spread worldwide as in a delirium of words along the digital networks, without a real dialogue, since people today do not listen one another. And there are real people, whom we meet in real life, with their bodies and minds, problems and hopes, will of feeling alive and ability to express themselves.

Going on, as I do, for so many years meeting kids, speaking and working with them, simple questions arise: where are the supposed “digital natives”? Where are the so claimed differences” between the present and the older generations? Nowadays kids, when we approach them as young humans rather than as cliches, love to play with puppets, to run in meadows, to be listened by the adults and even to take responsibilities, exactly as those I met in my first years with them, in the early Eighties.


I do not ask to believe me, I have the videos! That’s not “the reality”, of course, but a good help to show things, instead of only speak of them, to watch what actually happens, instead of giving opinions and questionable points of view as they were all the truth.
Video is a universal language across the planet, that can be used directly by all kids. With nowadays means, powerful, easy and cheap, we can let kids make a large part of them and, asking and allowing them to be humans and not only passive learners or puppies of consumers, they easily begin to play and, as play is the real culture of kids, in this way they express themselves in their own language – generally with no bullying, lack of attention, digital addiction - and we can know about them much more than with queries, questionnaires, data and statistics put together from the point of view of the adults teachers, psychologists, researchers.



Examples

Here are some recent examples from my direct experience, from three different workshops.
In Brescia, Italy, 5th grade kids, after having chosen a subject from their school experience, go and interview one another and then play a scene.
In Pyrgos, Greece, during three days the 6th grade students are simply asked to begin to use cameras in their school.
In Siena, Italy, a group of boys and girls from 6th to 8th grade, during a longer experience, from the initial interviews and play invent a story and make a film. The two videos are one the final movie and the other the workshop, with all steps, up to the meeting with a TV professional, with whom the kids speak almost as colleagues! 


For a global project

I have already published in this blog something for a discussion and a project, in Italian and in Spanish. Here is a further step, after speaking with international colleagues and thinking how to coordinate better our global work, meetings and workshops, festivals and round tables, helping the public opinion to know, not only the insiders, what real kids are and do.
And, in a world where the overdose of technological means allowing people to do virtually everything more and more corresponds in fact to a general sense of impotence about the private and the public, the politics and economics and the future itself of the planet, maybe just seeing how easy it can be for kids to take back technology and life, it can be a very strong signal of hope also for the society of the adults.

mercoledì 25 maggio 2016

Ci risiamo, con la favola dei “nativi digitali”!

Il prof. Ferri torna a parlarci dei “nativi digitali”, ammonendo noi miscredenti che dobbiamo metterci l'animo in pace, perché esistono! Ha anche pubblicato il link al suo articolo nel mio gruppo facebook “Bambini Oggi Tecnologie” e di questo lo ringrazio.

Dopo di che, vorrei riprendere anch'io qualche considerazione su quel discorso che molti fanno ma che – limiti miei – francamente non riesco a capire: la contrapposizione tra la cultura del libro (che sarebbe la cultura precedente) e quella “digitale”.
È un mio modesto punto di vista, ma lo esprimo così, anch'io in modo lapidario:
  1. Non è vero che la cultura precedente a quella “digitale” si basa sul libro ma – chi in coscienza può affermare qualcosa di diverso? – è un misto di stampa (libri, giornali, rotocalchi) e cultura audiovisiva, radio, cinema e televisione, con una forte prevalenza della televisione.
  2. Parlare di cultura “digitale” non ha senso.
Bambini alla LIM che programmano in LOGO
Mi spiego.
Il libro, la televisione, la radio sono mezzi di comunicazione di pensiero, parole, suoni, immagini. La scrittura, la narrazione orale, il disegno, la musica, la pittura, la scultura, la matematica sono linguaggi di espressione e conoscenza.
Il “digitale”, può essere la traduzione in termini numerici di mezzi e linguaggi precedenti (digitalizzazione), oppure la produzione direttamente secondo modalità numeriche (perché poi “digitale” significa “numerico”, magari molti non lo sanno!) di contenuti che agli utenti finali possono presentarsi in modo sostanzialmente non dissimile dai corrispettivi contenuti analogici (la musica, che sia un vinile, un nastro, un CD, un Mp3, si ascolta comunque con le orecchie!), in altri comportano la necessità di piccoli apprendimenti (per passare per esempio dal libro di carta all'ebook) o ancora inducono comportamenti e “stili conoscitivi” che prima non erano dati (es. l'utilizzo per diverse ore al giorno di aggeggi come gli smartphone, per fare le cose più disparate).

A parte che gli aggeggi digitali in realtà sono diventati popolari da quando sono intuitivi e analogici (la programmazione in linguaggio “C” richiede una vera competenza digitale, l'uso del mouse e del touch screen no!), c'è questa ipotesi per cui ci sarebbero differenze sostanziali e significative tra chi è nato quando gli aggeggi digitali ancora non esistevano e quelli che invece ci sono cresciuti dentro. Di solito ti fanno l'esempio del bimbo di tre anni che usa il tablet e della nonnina che è in crisi con il digitale terrestre! Di nonnini che usano con disinvoltura il tablet e di adolescenti imbranati non ne parlano mai, e già questo è fortemente sospetto. Così come non dicono che l'età media dei frequentatori dei social network è ben più alta di quella dei supposti “nativi”, né che i più giovani preferiscono di gran lunga leggere i libri di carta, piuttosto che gli ebook.Eccetera.

Felini digitali?
Se – osservando per esempio i passeggeri di una metropolitana di ogni età, tutti con le mani e gli occhi sul telefonino - ci sono differenze significative di comportamenti cognitivi riferibili alle generazioni, nella realtà non è dato di saperlo, perché tali comportamenti andrebbero osservati e verificati attraverso indagini vaste ed estremamente approfondite, che nessuno in realtà ha mai fatto. Per portare avanti quelle che restano fondamentalmente teorie, il più delle volte si procede per ipotesi e sillogismi: «Siccome studiano su Internet, quindi...» Quindi che cosa?. Che cosa fanno in realtà, come cercano, come sanno usare i collegamenti, incrociare i dati, elaborare delle sintesi? Davvero si pensa seriamente di poter applicare schemi universali a situazioni assolutamente variabili e imprevedibili, legate alle storie culturali e personali di ognuno, basandosi semplicemente sulla data di nascita?

Quando poi, dalle affermazioni perentorie quanto astratte, i sostenitori dei “nativi” scendono sul terreno degli esempi concreti, non di rado si sfiora il patetico, come quel tale che, di fronte a una platea di adolescenti esterrefatti, non solo affermava la “differenza sostanziale” dello scrivere al computer di un “nativo” e di un “immigrato”: «Perché io poi devo stampare!» (???), ma a un certo punto, aveva anche chiesto con entusiasmo al pubblico dei “nativi”: «Chi di voi si sveglia con il il telefonino?»
Ho alzato la mano solo io che ho 60 anni! Non lo sa quel tale che i bambini e gli adolescenti, la mattina, si fanno chiamare dalla mamma?

Concludo citando una affermazione tristissima e inquietante, ascoltata con le mie orecchie da un relatore durante un convegno in cui pure gente brava e preparata, addirittura riconosciuti “guru”, avevano espresso dubbi e perplessità sul fatto che abbia un senso parlare di “nativi digitali”. Questo tale dunque, a un certo punto letteralmente dice: «Bisogna mettere le lavagne digitali nelle scuole, perché pensano come loro!»
Davvero, per affezionarci a una definizione così imprecisa e ambigua, dobbiamo correre il rischio di cadere così in basso?

mercoledì 5 agosto 2015

Felini digitali



C'è un gattino ospite in casa, in questi giorni, che quando non cerca di arrampicarsi con le unghie sulle mie gambe, come ha fatto stamattina (e gli ho anche urlato dietro, ma mi ha fatto male!) è per molti versi simpaticissimo.
Dato che non sta fermo un momento ed è curioso di ogni cosa, ovviamente di più di quelle che si muovono, ho provato a proporgli uno di quei videogiochi che una nota casa di alimenti per animali he ideato per le nuove generazioni di felini che, cresciuti in familiarità con gli schermi, pare abbiano naturalmente sviluppato nuove competenze digitali.
L'altro gatto che bazzica abitualmente in casa, che non ha mai usato la sabbiolina e fa i suoi bisogni rigorosamente all'aperto, ma in compenso ama bere dal rubinetto, non è in effetti molto per i videogiochi. Probabilmente è un fatto generazionale. Se pensiamo che un anno di un gatto ne vale tanti dei nostri, praticamente lui è un felino del secolo scorso, quando i tablet non c'erano ancora.

Il gattino dunque, che per la cronaca si chiama Alpha (nome impegnativo, emblematico!) si interessa ai pesci del videogioco e toccandoli con la zampina scopre che li può mandare a fondo, con accompagnamento sonoro di bolle e sciacquio.
Ma c’è qualcosa che non lo convince e allora incomincia a rovistare ai bordi del tablet, cerca di sollevare la schermo, vuole vedere se i pesci sono nascosti lì sotto
Sveglio, il gattino!

giovedì 26 settembre 2013

La scuola e la possibile produzione (rivoluzionaria!) di memoria

Ci pensavo. Si parla sempre di una scuola arretrata, contrapposta a una società che si sviluppa in modo sempre più tumultuoso. Eppure proprio la scuola tradizionale, da un certo punto di vista, ha anticipato nel tempo la società attuale dell'usa e getta digitale. Cioè, un contesto in cui le attività umane, gli sforzi intellettuali, l'intelligenza e l'impegno delle persone, si muovono principalmente e clamorosamente attorno solo a se stessi, al vuoto, senza produrre nulla!
Nella scuola tradizionale ogni sforzo non doveva avere risultati, se non la riconferma che il sapere datodefinito a priori e uguale a se stesso, era passato dall'insegnante agli allievi. E nei social network, di norma, tutto quell'arrabattarsi e “postare” pure non mira ad avere risultati, se non a confermare la presenza dei diversi protagonisti in rete: sei su facebook, su twitter, su google +, incrementi il tuo punteggio klout! Mentre il mondo vero, l'economia, la politica, il pensiero progettuale, scorrono inesorabilmente altrove. Proprio come a scuola!

In tempi in cui, dopo la fastidiosa e potenzialmente destabilizzante invasione dei personal computer, il “rinnovamento” della scuola sembra procedere attraverso l'introduzione di oggetti digitali tranquillizzanti, come libri e lavagne, e l'impotenza delle persone comuni viene santificata dal loro concentramento in luoghi virtuali assolutamente inoffensivi (al di là di certe suggestioni interessanti, non si fanno le rivoluzioni con i “tweet”!), nella scuola come nella società della rete un uso diverso e alternativo delle risorse non solo è tecnicamente possibile, ma potrebbe da subito ribaltare questo stato di cose, in cui domina una ideologia dominante in superficie ma debole nella sostanza.
Nella società, attraverso modalità efficaci di condivisione e un difficile affrancamento intellettuale dai temi e dai modi della cultura televisiva introiettata per decenni e tuttora prevalente, un uso intelligente e appropriato di risorse oggi alla portata di tutti potrebbe davvero portare a una gestione dal basso dell'informazione senza precedenti. Discorso complesso, ma che dovremmo finalmente incominciare a fare davvero, oltre gli slogan e l'ideologia.
Nella scuola basterebbe molto di meno, un piccolissimo passo che sarebbe già una rivoluzione. Invece di guardare sempre fuori a magici aggeggi che arrivando finalmente risolverebbero le cose (sono molti decenni che la scuola periodicamente confida in magici aggeggi, che regolarmente falliscono, fino alla comparsa del prossimo magico aggeggio, che sarà sicuramente quello buono!), si potrebbe cominciare a guardare con intelligenza dentro, a quello che nella scuola effettivamente si fa. Oltre la variabilità dei programmi ministeriali e delle prove di valutazione, nella scuola ci sono umani che vivono e producono cultura, spesso ad ottimi livelli, e una inversione copernicana rispetto alla cultura fallimentare dell'usa e getta sarebbe proprio cominciare sistematicamente a tenere memoria di questa produzione, non buttare via tutto ogni anno per ricominciare sempre da capo, dare l'opportunità a bambini e ragazzi, lavorando su certi argomenti, di conoscere quello che sugli stessi argomenti hanno pensato e prodotti altri bambini e ragazzi prima di loro. Creare nelle scuole e gestire insieme, docenti e ragazzi, archivi digitali di testi, immagini, video, audio, che raccontino la storia di quella scuola, che possano incontrarsi in rete con le storie di altre scuole, cioè con le storie di altri docenti e ragazzi, nel tempo e nello spazio.
Questo oggi è tecnicamente facile e possibile praticamente per chiunque, come prima non lo era mai stato. E questo potrebbe essere il vero elemento di novità del tempo attuale, non le chiacchiere su fantomatici “nativi digitali” o la induzione di nuovi comportamenti attraverso il passaggio forzato a libri e lavagne digitali solo per consumare i soliti contenuti altrui!
Una scuola che produce informazione su se stessa, su come funziona, non solo non ha più il problema di “inseguire” la tecnologia, ma alla tecnologia stessa dà sostanza, rendendola indipendente dal mercato e rinnovando i linguaggi come non è possibile se questi non vengono “parlati”. E anche l'uso dei nuovi aggeggi sarebbe meno problematico, perché una parte importante dei contenuti a questi aggeggi li fornirebbe la scuola stessa, cioè le persone che ci vivono e ci lavorano, adulti, bambini e ragazzi.

Forse vale la pena di ragionarci un po' su...

domenica 14 aprile 2013

L'impossibilità di essere digitali


L'impossibilità di essere normale (Getting Straight) è un film cult americano dei primi anni Settanta. Sono i tempi in cui a suon di musica rock, minigonne, droghe, radicalismo politico di massa, amore libero, si verifica uno dei più ampi distacchi generazionali della storia. Con anche la capacità, per un certo periodo, di correggersi per respingere le generalizzazioni, i luoghi comuni, i recuperi di tipo commerciale. Si afferma la “moda” femminista e le donne scelgono per alcuni anni di non mostrare più le gambe (nel momento forse di massima libertà sessuale che si ricordi, anche perché non c'era ancora l'AIDS), e alle rivoluzioni “tradizionalmente” ricondotte nel filo del classico marxismo leninismo si sostituiscono le rivolte creative e disperate del '77, gli indiani metropolitani, il punk!
Bologna, Piazza Verdi 1977
Sul piano tecnologico, forse per caso, forse no, proprio in quegli anni ragazzini ventenni impongono al mondo una svolta di portata storica, inventando il personal computer!

Verrebbe quasi da dire: che cosa rimane da fare di nuovo, diverso, tragressivo alle giovani generazioni che verranno?
In realtà, basta viverci all'interno di qualcosa per sapere come i ragionamenti per schemi, se servono ad acchiappare il senso comune e a descrivere a grandi linee certi fenomeni, sono sempre molto relativi e, all'interno dei movimenti più o meno epocali, sono le storie vere, individuali o collettive, che ci riportano poi alla normale grandezza e debolezza del nostro essere umani, che è molto più costante e meno mutevole nel tempo di quanto a qualcuno non piaccia pensare.

Nel film “Roma”, un saccente Federico Fellini, mostrando ragazzi capelluti che si baciavano sui gradini di piazza di Spagna, commentava: “Per la loro generazione, l'amore non è un problema!” E noi ragazzi di 20 anni di allora, avremmo voluto chiedergli: “Per loro chi?”
Analogamente, osservando l'altro giorno la bambina dai capelli rossi seduta nella fila davanti che, durante la proiezione di foto della spedizione al polo Sud dell'esploratore Shackleton, a un certo punto si mette a videogiocare con l'iPad, facendo andare le dita come io non sarei mai capace, viene anche naturale immaginarsi una generazione di “nativi digitali”: l'alibi perfetto per tutti gli adulti che al giorno d'oggi si ritrovano imbranati nell'uso della tecnologia, agganciato al luogo comune dato per scontato (e tutto da dimostrare), del ricorrente "gap" tra le generazioni!
La valigia dei burattini, scuola dell'infanzia 2013
A una osservazione un po' meno a senso unico - i passeggeri della metropolitana dai 15 ai 70 anni che tutti armeggiano con il telefonino, le chat degli over 50 affollatissime di gente che ne combinano di ogni on line, i vecchietti della casa di riposo che si entusiasmano a cercale le canzoni su YouTube, i pastori sardi che lanciano l'adozione di pecore a distanza su internet, i ragazzini di prima media che per la maggior parte, fuori dai pacchetti “preconfezionati”, ignorano completamente le più elementari elaborazioni di una fotografia - non sarebbe difficile riportare il tutto a normali interazioni tra umani, varie ed eventuali più che mai e che anzi oggi, in mancanza di veri movimenti che coinvolgano ampi strati sociali, presentano un appiattimento e un interscambio generazionale probabilmente senza precedenti: giovani e vecchi che – anche qui, senza ovviamente generalizzare – spesso condividono la stessa musica, la stessa cultura, la stessa tecnologia (diversamente usata, ma per lo più con un con un analogo grado di superficialità), la stessa insoddisfacente e vacua ideologia di apparenza e di mercato che – eccezioni pure trasversali a parte – sembra dominare su tutto.

L'altro giorno i bambini della scuola dell'infanzia si affollavano entusiasti a pescare nella valigia dei burattini. Davvero qualcuno crede che sarebbe stata più appropriata per la loro “natura”,  una borsa di iPad?

lunedì 30 aprile 2012

I nativi digitali come la Padania!



Lo leggo in un documento ufficiale di un liceo, poi in un questionario per le scuole medie, e adesso è addirittura diventata la linea ufficiale sulla scuola del partito democratico! Non esistono più i bambini e i ragazzi, ma i “nativi digitali”! Viene da sé pensare: più una definizione appare scientificamente campata per aria, più nella pratica è fuorviante e ostacola il rapporto con le realtà reale, più evidentemente “acchiappa”! Così, presso l'opinione pubblica, chi teorizza mutazioni generazionali basati sulla data di nascita e l'esposizione ai mezzi (???) trova vasto credito e ascolto, e perfino il partito politico favorito alle prossime elezioni (lasciamo perdere che cosa pensano poi gli italiani in generale dei partiti!) si sente in dovere di cavalcare l'onda dell'entusiasmo popolare per la rivoluzione che si celebra da Media World!

D'altra parte, oggi si vive (e a volte anche si muore) di parole e frasi fatte , a cui raramente si applica il benché minimo ragionamento: “Ce lo chiede l'Europa!”, “Lo vogliono i mercati!”. E poi lo spread, la “Padania”! Abbiamo appena modificato la Costituzione (con il contributo determinante anche di quel famoso PD che pure raccoglie nelle sue file gente che un tempo si richiamava a Gramsci!) per inserire un assurdo politico come il pareggio di bilancio nei conti dello stato. Dove la “modernità” azzera le differenze tra una repubblica democratica e un'azienda, così come identifica il progresso della scuola nella sua “digitalizzazione”, senza interrogarsi più di tanto sul fatto che forse l'interesse degli studenti potrebbe non coincidere sempre con quello dei produttori di LIM e tablet e dei gestori telefonici!

Io vengo da una settimana in cui ho incontrato tutti i giorni gruppi di bambini e ragazzi veri, tra i 5 e i 14 anni, tra insetti, tecnologia (anche quella tanta e vera, e soprattutto applicata più che predicata!), e poi discorsi su noi stessi, la gioia e la difficoltà di essere in tanti a fare insieme le cose. Nella sala della mostra fotografica, i bambini entusiasti avevano occhi acutissimi e scoprivano ragnetti microscopici sul muro; i ragazzi delle medie troppi e distratti li recuperavi se li prendevi a parlare uno per uno o a piccoli gruppi, e allora scoprivi inaspettati interessi condivisi; mentre il giardino è diventato un luogo delle meraviglie, con le “autostrade delle formiche” sul cipresso americano e la potenza delle “lenti di ingrandimento elettroniche” (glielo devi dire tu però, ai “digitali”, che sono meglio di quelle tradizionali!) che hanno aiutato a osservare esseri minuscoli e sorprendenti.
E poi il pc e il video proiettore per rivedere grande e condividere sul web, il registratore per le voci, il telefonino smart per fare all'occorrenza un po' di tutto, Ma soprattutto bambini e ragazzi veri, “nativi” umani, figli o ospiti di una terra che, a forza di ripetere come uno slogan un nome che fino a 20 anni fa nessuno aveva mai sentito, c'è chi la oggi chiama “Padania” e crede davvero che esista come “nazione” (e sei tu che devi “dimostrare” che non esiste, o che Va' pensiero nell'opera di Verdi lo cantavano gli ebrei in Babilonia e non i Lombardi!)
La Padania come i “nativi digitali”. Luoghi comuni che annullano tendenzialmente nel pensiero comune e nella politica le persone vere, specialmente quando sono molto giovani e probabilmente avrebbero qualcosa di originale e interessante e nuovo da dire.
Poi magari in questo convegno si diranno (forse) anche cose giustissime sulla scuola e le tecnologie. Ma esordire usando una terminologia che induce a pensare i bambini e i ragazzi come fossero alieni, non lo definirei proprio un bell'inizio! E del resto, diverse scelte non proprio "progressiste" già fanno discutere in rete (ci torneremo).
E oggi ormai è il primo maggio!