Il
prof. Ferri torna a parlarci dei “nativi digitali”,
ammonendo noi miscredenti che dobbiamo metterci l'animo in pace,
perché esistono! Ha anche pubblicato il link al suo articolo nel mio
gruppo facebook “Bambini
Oggi Tecnologie” e di questo lo ringrazio.
Dopo di che, vorrei
riprendere anch'io qualche considerazione su quel discorso che molti
fanno ma che – limiti miei – francamente non riesco a capire: la
contrapposizione tra la cultura del libro (che sarebbe la
cultura precedente) e quella “digitale”.
È
un mio modesto punto di vista, ma lo esprimo così, anch'io in
modo lapidario:
- Non è vero che la cultura precedente a quella “digitale” si basa sul libro ma – chi in coscienza può affermare qualcosa di diverso? – è un misto di stampa (libri, giornali, rotocalchi) e cultura audiovisiva, radio, cinema e televisione, con una forte prevalenza della televisione.
- Parlare di cultura “digitale” non ha senso.
Bambini alla LIM che programmano in LOGO |
Mi spiego.
Il libro, la televisione,
la radio sono mezzi di comunicazione di pensiero, parole,
suoni, immagini. La scrittura, la narrazione orale, il disegno, la musica, la pittura, la scultura, la matematica
sono linguaggi di espressione e conoscenza.
Il “digitale”,
può essere la traduzione in termini numerici di
mezzi e linguaggi precedenti (digitalizzazione), oppure la produzione
direttamente secondo modalità numeriche
(perché poi “digitale” significa “numerico”, magari molti
non lo sanno!) di contenuti che agli utenti finali possono
presentarsi in modo sostanzialmente non dissimile dai corrispettivi
contenuti analogici (la musica, che sia un
vinile, un nastro, un CD, un Mp3, si ascolta comunque con le
orecchie!), in altri comportano la necessità di piccoli
apprendimenti (per passare per esempio dal libro di carta all'ebook) o
ancora inducono comportamenti e “stili conoscitivi” che prima non
erano dati (es. l'utilizzo per diverse ore al giorno di aggeggi come
gli smartphone, per fare le cose più disparate).
A parte che gli aggeggi
digitali in realtà sono diventati popolari da quando sono intuitivi
e analogici (la programmazione in linguaggio “C” richiede
una vera competenza
digitale, l'uso del mouse e del touch screen
no!), c'è questa ipotesi per cui ci sarebbero differenze sostanziali
e significative tra chi è nato quando gli aggeggi digitali ancora non
esistevano e quelli che invece ci sono cresciuti dentro. Di solito ti
fanno l'esempio del bimbo di tre anni
che usa il tablet e della nonnina che è in
crisi con il digitale terrestre! Di nonnini che usano con
disinvoltura il tablet e di adolescenti imbranati non ne parlano mai,
e già questo è fortemente sospetto. Così come non dicono che l'età
media dei frequentatori dei social network è
ben più alta di quella dei supposti “nativi”, né che i più
giovani preferiscono di gran lunga leggere i libri
di carta, piuttosto che gli ebook.Eccetera.
Felini digitali? |
Quando poi,
dalle affermazioni
perentorie quanto
astratte, i sostenitori dei “nativi” scendono sul terreno degli
esempi concreti,
non di rado si sfiora il patetico, come quel tale che, di
fronte a una platea di adolescenti esterrefatti, non solo affermava
la “differenza sostanziale” dello scrivere al computer di un
“nativo” e di un “immigrato”: «Perché
io poi devo stampare!»
(???), ma a un certo
punto, aveva anche chiesto con entusiasmo al pubblico dei “nativi”: «Chi
di voi si sveglia con il il telefonino?»
Ho
alzato la mano solo io che ho 60 anni! Non lo sa quel tale che
i bambini e gli adolescenti, la mattina, si fanno chiamare dalla mamma?
Concludo citando una
affermazione tristissima e inquietante, ascoltata con le mie
orecchie da un relatore durante un convegno in cui pure gente brava e
preparata, addirittura riconosciuti “guru”, avevano espresso
dubbi e perplessità sul fatto che abbia un senso parlare di “nativi
digitali”. Questo tale dunque, a un certo punto letteralmente dice: «Bisogna
mettere le lavagne digitali nelle scuole, perché pensano come loro!»
Davvero,
per affezionarci a una definizione così imprecisa e ambigua,
dobbiamo correre il rischio di cadere così in basso?
Pertfettamente d'accordo!
RispondiEliminaQui si confondono i "nativi digitali" con gli "utonti digitali"!
in effetti il termine è molto ambiguo e non ne ho particolare simpatia. credo pero' che sia utile riflettere sul senso da dare al termine 'digitale', oggi davvero troppo abusato. Intanto vorrei dire che il concetto di digitale è ben precedente all'era elettronica; se penso all'alfabeto Morse ecco un chiaro esempio di sistema di comunicazione digitale basato sui due soli simboli del punto e della linea. la novità dell'epoca in cui viviamo è un'altra: con l'avvento dell'elettronica si sono diffusi enormemente dispositivi e sistemi in grado di trattare l'informazione in modalità numerica, fatto che ha cambiato significativamente la nostra società e la nostra cultura. Invece mi piacerebbe che si recuperasse un'idea di cultura digitale più autentica: non intesa come sinonimo di 'cultura degli schermi elettronici', ma come sguardo o pensiero in grado di interpretare porzioni di realtà, fenomeni naturali o artificiali, fatti di qualsiasi tipo e natura e appartenenti alle discipline di studio più disparate attraverso le categorie concettuali del digitale. una cultura digitale, quindi, come 'sguardo digitale' sulle cose, sui fenomeni, sui più diversi aspetti che caratterizzano l'esperienza umana. Insomma una cultura digitale un po' simile alla (ormai poco menzionata purtroppo) 'cultura informatica' che, come ben sappiamo, non corrisponde al 'saper usare un computer'. ma questo è un altro discorso
RispondiEliminapenso che Paolo Beneventi abbia ragione: ormai solo pochi insistono sui nativi digitali e come sempre non ci sono mai delle vere motivazioni scientifiche... non so come mai insistano così tanto. Però in Italia credo che ormai questo sia l'unico autore rimasto... una rarità!
RispondiEliminaLuigi Radice