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mercoledì 10 aprile 2019

I Pianeti Raccontati

Quest'anno, dopo decenni, ho pubblicato il mio secondo libro di narrativa per bambini (il terzo anche dovrebbe essere in uscita, ma ritarda, ora vado a telefonare all'editore!).
I Pianeti Raccontati si ispira in maniera piuttosto esplicita alle Città Invisibili di Italo Calvino che, oltre che essere un bellissimo libro, propone anche uno schema molto efficace per l'immaginazione. Si pensa a una città, o a un pianeta, con un nome e un'idea forte che li caratterizza, e poi osservando quella prima immagine si descrivono le storie che ne vengono fuori. Calvino lo fa ai suoi altissimi livelli, ma per esempio con i bambini può essere un gioco bellissimo ed è per questo che anch'io, che con i bambini invento storie da una vita, mi sono permesso di scrivere questa cosa mia.
Qui pubblico le prime righe dal prologo e l'intero testo di Aquilone, il pianeta aereo.
 

IL RITORNO DEGLI ESPLORATORI



Arrivavano le navi degli esploratori, dopo aver navigato in lungo e in largo i più remoti angoli dell'Universo, in nome dell'Imperatore e della Conoscenza. Arrivavano a una a una e si fermavano in orbita, in attesa. Sguardi carichi di nostalgia dai finestrini, tra le ombre imponenti e immobili degli enormi vascelli spaziali e, laggiù, la Terra, finalmente, azzurra e scintillante di acqua e di luce.

Dal pianeta, scrutando con un telescopio potente, solo muti contorni neri rivelavano il luogo di quel grande, glorioso parcheggio sospeso, ma già scienziati e bambini immaginavano e sognavano: chissà quali stranezze e meraviglie gli esploratori avevano visto, e chissà che cosa avrebbero raccontato!



IL PIANETA AEREO

 

Non c'è terra, non c'è mare su Aquilone, solo cielo.

Al centro, l'atmosfera è densa come una nebbia fitta, e lì si appoggiano senza sprofondare case e città, come tende e lenzuoli e
vele, abitate da nazioni di gente piccola e magra, dal passo leggero.

Poco più in alto, nell'aria già più trasparente e rarefatta, nuotano creature strane, che non esistono su nessun altro mondo, un po' pesci e un po' fiori.

Se si sale ancora, si incontrano le folle instancabili degli insetti volanti e degli uccelli, che si rincorrono per la vita e per la morte.

Sempre più su, è il territorio dei desideri e dei pensieri.

È un bel problema per il viaggiatore galattico approdare su Aquilone, il Pianeta Aereo, che qualcuno ha paragonato a una cipolla di aria. Anche provando a discenderlo tutto, strato dopo strato, non si riesce a trovare terreno solido sui cui appoggiarsi.

Così, hanno costruito stazioni orbitanti intorno, che servono per i collegamenti spaziali con il resto della Galassia, per i traffici e i commerci. Ed è un andirivieni di palloni, mongolfiere, deltaplani, aquiloni, paracadute, dirigibili, che vanno e vengono leggeri tra le pesanti astronavi ancorate lassù e le tremule città del pianeta.

Forse perché in un posto così non è possibile "rimanere con i piedi per terra", sul Pianeta Aereo succede un fatto unico: si possono vedere e ascoltare i pensieri, che nascono nella testa della gente e sono subito veri, soltanto un po' più leggeri. Così l'ultimo strato di Aquilone, quello più esterno, è anche il più interessante.

Ma l'aria è troppo rarefatta, nessuno può fermarsi lì. E i pensieri, quando i viaggiatori curiosi cercano di afferrarli al volo, sporgendosi pericolosamente dalle navicelle oscillanti delle mongolfiere, discretamente si spostano un poco più in là.

lunedì 5 febbraio 2018

La scrittura e la memoria dispersa dell’era digitale

Copio e incollo, con qualche aggiustamento, cose scritte da me e altri giorni fa in una discussione su Facebook, dove tutti argomentano di tutto e dopo pochi giorni non si riesce a trovare più niente, con buona pace del ritornello che recita “in internet non si perde nulla!” Certo, ma le cose dove stanno?

Questa sistematica dispersione della memoria contribuisce a fare sì che, di fatto il riduzionismo e il "presentismo" siano la cifra, orientata da un marketing di corto respiro, di un tempo senza storia come il nostro. È presto, o tardi, per ragionare, capire insieme, invertire certe tendenze? Se l'uno per cento dell'umanità partecipa della ricchezza del pianeta, il “quanto per cento” partecipa della formazione della cultura? Quante meravigliose idee "digitali", fuori dalle fiere e dal dibattito di una ristrettissima élite, oltretutto divisa in tanti scompartimenti stagni, arrivano al pubblico che consuma e spreca hardware e software come fossero detersivi?
Il grande problema dell'oggi si riassume in una parola: partecipazione. I mezzi tecnici la consentirebbero a livelli mai visti nella storia, a tutti, anche ai bambini. Le consuetudini di pensiero e l'asservimento a leggi di mercato vecchie di secoli la negano, e con essa la libertà dei popoli, la democrazia, la convivenza civile, la speranza stessa di un futuro del pianeta.
La mia idea banale - forse perché lavoro con i bambini- è che semplicemente riportando le persone al centro dell'attenzione, come per "miracolo" tutto potrebbe cambiare. E anche magari individuando e scegliendo un ambiente di discussione tra noi meno labile e dispersivo dei social network commerciali!

Riprendevo un post di Stefano Penge che scriveva, dopo aver ascoltato l'intervista a Claudio Ambrosini, Paolo Ferri e Paolo Legrenzi (su Fahreneit, Radio 3): Bella (e perduta) scrittura:
«Mi colpisce molto che la scrittura sia concepita e discussa nelle sue valenze motorie, estetiche, neurocognitive, e che l'opposizione centrale sia tra gli elementi frammentati (le lettere dello stampatello, o della tastiera) e gli elementi legati (il corsivo). E' vero, si parla di apprendimento della scrittura. Io avrei detto "apprendimento di una tecnica di scrittura": quella più diffusa nell'era dell'inchiostro e della carta. Prima, le tecniche erano altre. Dopo (oggi?) saranno e sono altre. La scrittura, però, a me ignorantone sembrava essere altro. Scrittura è un insieme di pratiche di fissazione, trasmissione, conservazione del pensiero linguistico. E' composta di tecniche, di azioni motorie, ma anche di azioni mentali, di ricordi, di proiezioni, di ipotesi, di ritorni all'indietro. Insomma uno scrive per comunicare, a se stessi o a qualcun altro, non per esercitare la mano (altrimenti, disegna scarabocchi). E la cosa difficile, visto che si impara a parlare prima che a scrivere, è scoprire come fare: come tradurre pensieri in parole (nomi? verbi?), come adattarle (declinare, coniugare), come ordinare le parole per arrivare a esprimere qualcosa che, mentre la si mette in parole, cambia; e tutto questo per arrivare a qualcosa che sia accettabile e comprensibile all'esterno.
Ora mi sarebbe piaciuto che nel dibattito ci si fosse chiesti: ma usare un software (non un computer o un telefono), cioè un ambiente inventato apposta per supportare tutte queste operazioni - con correttori, dizionari, suggerimenti, e poi font, stili, dimensioni, impaginazioni - facilita l'apprendimento della scrittura, o no?
(…) Che impatto cognitivo ed emotivo ad, ad esempio, la possibilità di correggere, o quella di riprendere un testo a distanza di tempo e adattarlo, o quella di rimpaginarlo per un uso diverso? O ancora, la possibilità di lavorare in più persone sullo stesso testo, magari a distanza? E' meglio, è peggio, e soprattutto, cosa cambia?
Ci saranno stati, in passato, dei serissimi studi inglesi in proposito. Che andrebbero ripetuti man mano che cambiano gli strumenti, i modelli, i contesti. Oggi però - dall'intervista agli articoli Ambrosini, Belardelli e altri questo mi pare di poter dire - ci si concentra solo su corsivo e smartphone. Mah.»

Intanto, da molti anni e tutto sommato senza troppo rumore, gli aggeggi digitali e il software vengono spesso utilizzati come utili strumenti per una didattica inclusiva”, in soccorso a difficoltà di vario genere nella lettura e la scrittura, dalla dislessia alla cecità, per i soggetti direttamente coinvolti e per chi, come educatori e genitori, ha a che fare con loro.

photo credit: *maya* <a href="http://www.flickr.com/photos/12663367@N00/15431261013">Fushimi Inari Taisha</a> via <a href="http://photopin.com">photopin</a> <a href="https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/">(license)</a>

domenica 23 settembre 2012

Con Nintendo DS e i Pokemom, ritorno al futuro: la tastiera!

Fanno sorridere, in molti film di fantascienza degli anni '80, gli schermi a tubo catodico bombati che spesso ritroviamo nelle astronavi del “futuro”. Allo stesso modo, tra qualche anno probabilmente sorrideremo dei più avveniristici ma improbabili touch screen trasparenti con i quali nei film di oggi si immagina che la complessità dei computer un domani potrà essere ridotta a pochi gesti plastici, sfogliando le funzioni con le dita come oggi si fa con i giornali della rassegna stampa in TV o con le foto delle vacanze sull'iPad. E anche con la precisione sintattica estrema di un vulcaniano, è difficile immaginare di poter dire a voce, in tempi accettabili, tutta quella sequenza di selezioni che, tra menù e sottomenù, si compiono in pochi secondi con un mouse. Chi poi con il computer ci lavora davvero, sa che ancora oggi il modo più veloce per dare i comandi restano – e per questo conviene impararle a memoria, perché poi si risparmia un sacco di tempo - le combinazioni di tasti sulla tastiera: crtl + c = copia; crtl + v = incolla crtl + s = salva; ecc.

Proprio la vecchia cara tastiera torna protagonista alla grande – e rischia di essere qualcosa di clamorosamente importante - nella nuova proposta di Nintendo, casa che, più che seguire le mode, spesso innova in modo anche clamoroso. Basti pensare allo schermo tattile, introdotto per la prima volta in un prodotto di largo consumo con la Nintendo DS; o alla Wii, che ha cambiato l'idea stessa di videogiochi. Gli stessi Pokemon, divenuti cultura dei bambini di tutto il mondo, dimostrano quando possano essere popolari giochi impegnativi anche dal punto di vista mentale e conoscitivo. E' anche osservando come i bambini spontaneamente imparano i nomi, la classificazione, le proprietà dei Pokemon, che io personalmente ho rotto gli indugi nel proporre il mio Museo Virtuale dei Piccoli Animali.

Impara con Pokemon si gioca con la tastiera. E la si impara, gradualmente, dalla singola lettera alla fila di caratteri vicini, fino alla capacità di individuare i tasti e di pigiarli senza guardare, usando tutte quante le dita! E quando arrivano all'ultimo livello, con l'ultimo Pokemon, a sette o otto anni i bambini, senza accorgersene, sanno già scrivere come un dattilografo!
Troppo bello per essere vero? Forse. Ma il mondo - parlo per la mia esperienza personale con i bambini - è pieno oggi di possibilità anche molto facili da cogliere, che risolverebbero forse un sacco di problemi (l'attenzione, la motivazione, il bullismo ecc.) e che ostinatamente per esempio la scuola continua a ignorare. Che alla Nintendo abbiano scoperto l'uovo di Colombo, perché tutti i bambini possano conseguire giocando abilità che normalmente si conquistano in altre età, attraverso corsi lunghi e spesso noiosi?

Dopo di che, come sottolineava anche il professor Andreoletti, durante la presentazione giovedì scorso a Milano, il fatto di usare abitualmente la tastiera non significa – come sembrerebbero intendere certe scelte “futuriste” che qua e là prendono piede in questo mondo confuso – la “inutilità” dell'apprendimento oggi della scrittura tradizionale, e in particolare del corsivo. Non è questione solo se dopo la si usa tanto oppure no. A parte che l'istruzione dovrebbe favorire le libere scelte di ogni individuo e non un conformarsi solo a quello che fa la maggioranza, la scrittura manuale comporta comunque l'acquisizione di abilità psicomotorie che, non sappiamo quanto, sono importanti in generale per lo sviluppo cognitivo. E sono inquietanti i possibili scenari in cui umani civilizzati, in mancanza di una tastiera o di interfacce digitali, non siano in grado di tradurre con le proprie mani i pensieri in segni sulla carta, su una lavagna, sulla sabbia.