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sabato 15 gennaio 2022

Gestire la complessità, parte seconda


L’umanità dell’informazione al bivio tra conformismo acritico e intolleranza o consapevolezza e responsabilità
 

...parte prima

3. Il ristagno del pensiero e lo spreco dell’informazione diffusa

C’è un aspetto di questi tempi su cui a mio parere non si riflette abbastanza.

Cioè, io adesso qui sto cercando di mettere insieme un mio piccolo ragionamento sul mondo che si svolge in più capitoli, da pubblicare prima in pezzi su un blog e poi tutto insieme in uno spazio più adatto. Qualcuno lo leggerà, arriverà qualche apprezzamento, forse commenti, difficilmente critiche, anche da parte di chi non è per niente d’accordo. Succede quasi sempre così. Pure quando amici, parenti e colleghi si affollano attorno a un libro appena uscito, rispondendo in massa alle mailing list, o riempiendo di “mi piace” i social network, oltre ai complimenti e le felicitazioni di rito, difficilmente troveremo qualcuno che parla davvero di quello che sul libro c’è scritto.

Eppure, forse l’intento di chi scrive libri sul mondo, di alcuni di loro almeno, non è solo farsi belli con un titolo in più nel loro catalogo, ma sviluppare idee che servono per capire, stimolare, in certi casi provare a spiegare e, dato che la storia del pensiero umano ci insegna che non ci sono mai idee definitive, se le idee stesse restano lì e non vengono accolte, discusse, corrette, sviluppate da altri, il pensiero non va avanti non influenza la vita delle persone e delle società.

Scuola primaria Arici, Brescia 2002, classe IIa
disegno al computer: Gola!

Oggi, il proliferare di credenze irrazionali e fantasiose, l’aumento delle schiere di complottisti, terrapiattisti, integralisti di ogni stampo in fatto di religione, politica, alimentazione, appare la faccia disarmante di una overdose di produzione e informazione culturale il cui impatto sulla società non dipende dalla eventuale qualità, ma dall’esposizione mediatica, in un momento storico in cui i media stessi sono scossi da una “crisi di identità” senza precedenti.

Prima c’è stato quello che potremmo definire un passaggio intermedio, fondamentale e che ha segnato e segnerà molte generazioni, in cui l’informazione di massa si è spettacolarizzata e commercializzata in modo da rendere la narrazione della realtà, sulla stampa, in radio, in televisione più importante della realtà stessa. Si potrebbe definire con termine anche troppo elegante meta informazione, per cui attorno a un fatto e alla sua iniziale discussione, un’altra discussione ne consegue e altre ancora, fino a che a forza di parole su parole – ancora e soprattutto parole, anche nella società dell’immagine e di internet! - amplificate e moltiplicate dai media, il tutto si riduce a un chiacchiericcio compiaciuto tra addetti ai lavori, spesso molto più attenti al proprio ruolo e alla loro immagine che non a ciò che sarebbero chiamati a spiegare, a cui il grande pubblico assiste più con l’emozione che con la ragione, come a un film o a uno spettacolo di varietà. È quello che regolarmente succede in televisione intorno a certi fatti di cronaca, dove la tragedia e il delitto consumati avidamente dai telespettatori diventano passerelle in cui si pavoneggiano opinionisti ed “esperti”.

Con il web, ci sarebbe oggi la possibilità teorica per ognuno di organizzarsi l’informazione in modo libero e indipendente, avendo a disposizione una quantità pressoché illimitata di fonti nonché, magari non individualmente ma organizzandosi in rete secondo modalità evidentemente tutto da scoprire – perché certo gli “esperti” magari hanno qualche idea in più, ma nessuno può sapere davvero come funziona, dato il mezzo è stato appena inventato! - di produrre l’informazione stessa, di fare i giornali, la radio, la televisione, perché ormai siamo tutti “padroni dei mezzi”.

Di questo fatto – vero, unico, indubitabile, rivoluzionario, mai visto nella storia dell’umanità – praticamente non ne parla chiaramente quasi mai nessuno, forse perché comporta un salto culturale e soprattutto una assunzione di responsabilità, e allora i più si rifugiano negli ambienti organizzati e protetti dei social network, in cui si riproducono dinamiche tipicamente televisive come la sostituzione dei dati di ascolto con le visualizzazioni, i “mi piace”, i follower. Qui mettiamo in rete i nostri post, le foto, i video, per lo più senza neanche renderci conto che in questo modo produciamo informazione al cospetto del mondo intero, oppure vedendo in questo essenzialmente la possibilità di essere notati e diventare magari influencer, come in una lotteria in cui in palio c’è sempre comunque un effimero successo individuale nella società dello spettacolo. Il mondo quello vero, il lavoro e il tempo libero, l’amicizia e l’amore, la vita e la morte, la pace e la guerra, crediamo che restino comunque tutto un altro discorso, su cui sui social possiamo solo eventualmente dire la nostra, raccontare, litigare, schierarci, ma comunque non decidere.

E invece la nostra vita reale è influenzata sempre più dalla nostra presenza sui “social”.

Perché anche i media tradizionali, se sei popolare su Facebook, Instagram, Twitter, Tik Tok o qualche altro nuovo network rampante, si sentono in dovere dovere di citarti, omaggiarti, riverirti, ascoltarti, e capita anche che qualcuno incominci a guadagnare soldi, perché sulle piattaforme commerciali conviene alla pubblicità agganciarsi a tuoi post, che attirano una grande quantità di visualizzazioni. E non pochi sono i ragazzini delle medie che da grandi vorrebbero fare gli influencer!

Questi panorami virtuali e fantastici, apparentemente lontano dai sensi, dalle emozioni, dai sentimenti, in realtà fanno opinione, determinano sempre più le scelte politiche, culturali, i rapporti personali. Molti intellettuali, quelli che ci spiegano il mondo, appaiono annaspare come nelle sabbie mobili, incapaci di cogliere il contesto generale e attratti in modo irresistibile, abbagliati da fenomeni forse anche nuovi, ma spesso casuali, provvisori, effimeri, segnali di una confusione presente, che in molte descrizioni vengono scambiati per le anticipazioni di un ineluttabile futuro. Banalmente, dubito che si possa in qualunque modo argomentare per esempio su dove ci stanno portando le macchine, senza tenere presente che oggi macchine di una potenza smisurata sono per la maggior parte maneggiate da analfabeti! Che dire dei “giganti del web”, a volte descritti quasi come entità soprannaturali, quando in realtà sono letteralmente tenuti in piedi dai nostri clic!

Scuola primaria Arici, Brescia 2002, classe IIb
disegno al computer: Mare!

Lo dico e lo scrivo da anni: credo che il problema culturale principale sia mettere d’accordo i libri che abbiamo letto, la televisione che abbiamo guardato, i videogiochi con cui abbiamo fatto esperienza dei mondi virtuali, i social network che addomesticano la Rete per noi, la tecnologia che usiamo tutti i momenti senza saperla usare. E non possiamo farlo se continuiamo a guardare queste cose una per una, come valori assoluti e provvisoriamente definitivi, se ci innamoriamo di definizioni suggestive a cui cerchiamo di dare un senso a partire dalla definizione stessa e non dall’osservazione della realtà. La storia dei “nativi digitali”, per esempio, si è sostenuta per anni praticamente praticamente sillogismi: “Osservo i bambini che fanno questo e quello… e quindi!” Quindi cosa? Il terzo millennio spiegato con il metodo di Aristotele?

Studiare, confrontarsi, capire, con curiosità e soprattutto umiltà.

A proposito, il perché e il come certe comunicazioni acchiappano più di altre in rete, se in partenza non sei una persona già famosa, sono abbastanza imprevedibili. Nel mio piccolo, avendo pubblicato su YouTube una serie di video le cui visualizzazioni per lo più si contano in poche centinaia, in cui ci stanno tante cose di teatro, educazione, natura, musica e altro, nel corso degli anni avevo finalmente sfondato le 20.000 visualizzazioni con il videoclip del Lombrico Joe (musica e canto del mio amico Piero, io ho scritto le parole e montato le immagini) quando a un certo punto tanti hanno incominciato a guardare un minuto di riprese di una grossa ape nera (Xylocopa violacea) che bottinando svolazza tra i fiori di gelsomino. Ormai ci vanno in centinaia ogni giorno, vai un po’ a sapere come e perché!

Continua


mercoledì 8 aprile 2015

Il tempo per il pensiero degli altri…

Forse un giorno, se da un gradino superiore della storia qualcuno sarà in grado di dare un giudizio sulla nostra epoca, parole ricorreranno come dispersione, spreco, occasioni perdute.
Evitiamo di ripetere i soliti discorsi sulla disponibilità ipertrofica di risorse tecnologiche da cui siamo sommersi, che ogni pochi mesi si rinnovano, si moltiplicano, si rottamano, col risultato che in realtà non impariamo mai a usare niente e la nostra vita non solo non si arricchisce e non migliora, ma si appiattisce in un sempre più passivo seguire la corrente del consumo, unica possibile soluzione all’impossibilità di tenere dietro al vortice di apparenze che ci abbaglia.
Evitiamo anche i discorsi sulla retorica e l’ideologia integralista della “fine delle ideologie”, dove il pensiero dominante unico del “così va il mondo” induce i più a identificare l’attuale fallimentare e agonico sistema di mercato come l’ordine naturale delle cose, fuori da qualsiasi prospettiva storica e da qualsiasi ragionamento critico.

Quello che spesso oggi manca in modo devastante, quando si cerca di costruire qualcosa, è la considerazione vera del pensiero degli altri. Cioè, quel condividere idee e opinioni in più di una persona, in modo che a un certo punto ne risultino altre idee e altre opinioni, che non diano solo una somma, ma una sintesi superiore in cui le persone che a quella elaborazione hanno partecipato si possano riconoscere con soddisfazione.
È ciò che di solito non succede nei convegni e nei festival, che sono per lo più passerelle, vetrine, in cui non c’è mai il tempo per parlare veramente con gli altri.

Anche in rete, tantissimi comunicano le cose che pensano e che fanno, utilissime, bellissime. Le espongono come sugli scaffali di un supermercato planetario, e lì raccolgono consensi e critiche, polemiche accese e tantissimi “mi piace” (che sembra il massimo del “successo”!). A volte si crea l’occasione per dibattiti accesi e momentaneamente vivacissimi, che regolarmente non lasciano segno alcuno, e la volta dopo si ricomincia da capo.
Ma pochissimo è lo spazio in rete dove si osservano storie che crescono, o si sviluppano progetti che, oltre il gran darsi da fare dei singoli, o dei gruppi già strutturati, richiedano un impegno comune, una assunzione di responsabilità collettiva per inventare insieme qualcosa di nuovo, quello che manca, quello di cui tutti si lamentano che non c’è. Per imprese di questo tipo, generalmente “non c’è tempo”! Ma se passi metà della tua vita a pubblicare su facebook?

Inutile! Per fare davvero i conti con il pensiero degli altri, oltre i “selfie” e la ricerca anche platonica di consensi, non c’è tempo (pure se il tempo potrebbe essere poco e potremmo sceglierlo noi)  e non c’è modo, a prescindere!
Forse è un interiorizzato e profondo senso della competizione, per cui gli altri sono visti comunque come pericolosi concorrenti; forse è il risultato di delusioni personali e collettive, quando il mondo sembra scivolare in una direzione tanto diversa da quella che vorremmo, e allora proseguire soli e sconfitti è quasi una consolazione; forse ci ha estenuato la rincorsa al troppo veloce “progresso” tecnologico, di cui fatichiamo a cogliere il senso (e infatti, complessivamente, non ha un senso, o meglio, lo avrebbe se non fosse prevalentemente orientato al marketing!)

Se fossi uno di quelli che credono che la storia a un certo punto, quando noi siamo stanchi, si ferma, direi e forse scriverei: «Hanno vinto loro!»

Ma la storia va avanti, indipendentemente dal nostro impegno o opinione, e come sarà domani dipende anche dai pensieri e, soprattutto, dalle azioni di ognuno di noi.