«First
we took the pictures and then we put it on a computer. With it we
have made some faces strange, we made them morphed on the
computer, the faces were normal before, and now they’re different,
and we have become real pirates. It became the strange faces that
make you laugh, and mothers will come and see them.» (translation
from the voices of the children, 5 years old, Milan, May 2012.
Negli
primi anni 80 il computer
era una macchina che bisognava
imparare a programmare,
verso un “futuro” di BASIC
e dos.
Alla
fine degli anni 90 il
computer era una macchina per collegarsi
a Internet.
Adesso
il computer è un oggetto in
via di estinzione, perché
il “futuro” è negli smartphone
e nei tablet.
Una
cosa che, da educatore,
mi dà particolarmente fastidio,
è quando l'arroganza
ignorante del senso comune
non solo spande e diffonde sciocchezze
a non finire, ma le attribuisce per esempio anche ai bambini.
Non ai bambini che si conoscono davvero, ovviamente, che magari
pongono domande e vorrebbero risposte, ma a quelli che si
“suppongono” e di cui si può dire ciò che si vuole. Così
succede che, per postulati
e sillogismi (il pensiero
genuino del terzo millennio!), osservando da lontano i pargoli che a
due anni già giocano con gli aggeggi tecnologici, si “deduce”
una generazione di “nativi
digitali”, per la
cui educazione prontamente il mercato
produce LIM e tablet
che “pensano come loro” (affermazione udita con le mie orecchie
in un convegno!)
Il
bambino in realtà, non solo gioca con naturalezza anche con
tutte le altre cose della sua vita (e magari trova molto più
interessanti gli esseri viventi degli “schermi”, se gli
si concede l'occasione di incontrarli!), ma ostinatamente tenta,
finché ci riesce, di vivere basandosi sull'esperienza.
Così,
per esempio, questi bambini di cinque anni che a scuola
giocavano ai pirati parlano con proprietà del computer come
di una macchina che è servita a “trasformare”
le fotografie, a cambiare la facce:
«Prima
abbiamo fatto le foto e poi le abbiamo messe nel computer e col
computer abbiamo fatto delle facce strane».
«Le
abbiamo fatte trasformare nel computer».
«E
sono diventate le facce strane che fanno ridere e le mamme verranno a
vederle».
Dato
che con un computer si possono fare tantissimi altre cose, e quasi
nessuno le sa, questo potrebbe essere un buon metodo: usarla
questa macchina e, usandola, capire a che cosa serve.
Ho
inserito il computer tra le diverse “aree
di esperienza”
(e il computer per
fare,
per i bambini non è assolutamente la stessa esperienza dei
videogiochi, né di internet) in cui mi aspetto di mettere
insieme in un libro multimediale on line tante
testimonianze di bambini:
disegni,
voci, testi, foto, video.
Perché è così che si arricchisce il quadro, a poco a poco,
insieme, e si
incomincia a capire...
la penso come te a riguardo..il computer è un mezzo con cui i bambini possono fare esperienza come con qualunque altro oggetto...
RispondiEliminaelisa fon