mercoledì 26 dicembre 2012

Il debole Babbo Natale e la forte Santa Lucia

Ieri un post su facebook giustamente ricordava come il Babbo Natale che tutti conosciamo non sia una figura della tradizione, ma una invenzione recente delle Coca Cola, citando un libro (che si può scaricare gratis) e sottolineando come “ il sistema delle multinazionali domini il nostro immaginario collettivo”.
Se il primo è un fatto (nel 1931 la Coca Cola veste di rosso e bianco il vecchio e sbiadito Santa Claus e ne fa una star mondiale!), la seconda in realtà è una affermazione, anzi, praticamente una deduzione, che andrebbe verificata meglio nei fatti.
Ovviamente, non si discute che quasi tutti i “miti” degli umani grandi e piccoli del giorno d'oggi derivino dalla letteratura, dal cinema, dai fumetti, dai videogiochi, e siano il frutto di grandi operazioni commerciali. Ma proprio su questa questione di creature più o meno magiche che in una notte dell'anno portano i regali ai bambini, la potenzia delle multinazionali dimostra, alla prova dei fatti, i suoi grandi limiti.

Io vivo a Brescia, in una zona d'Italia in cui i regali, nella notte del 13 dicembre, li porta Santa Lucia. La tradizione riguarda il Veneto e una parte consistente della provincia lombarda, ed è talmente poco “multinazionale” che quasi nessuno fuori da quell'area la conosce. Addirittura, in una rivista impegnata per bambini avevano scritto anni fa – per altro giustamente - che Santa Lucia è una tradizione “svedese”. Ma la redattrice viveva in Emilia e non sapeva di che cosa sognavano i bambini che abitavano appena a pochi chilometri dalla sua città, a nord del fiume Po!

Nell'immaginario dei bambini la figura di Santa Lucia è tuttora molto potente. Quando, nei giorni precedenti, si sente il suo campanellino fuori da una scuola dell'infanzia, l'emozione collettiva è intensa oggi come quando ero piccolo io, e addirittura potrei citare esempi di “nativi digitali” a cui, quasi in età da scuola media, i genitori hanno finalmente dovuto dirlo che in fondo non è vera la storia di Santa Lucia!
Da piccolo, mia madre che è di Milano mi raccontava che là i regali li portava Gesù Bambino (che, come recitava Jannacci, è Babbo Natale da giovane!), mentre dalla terra di mio padre, l'appennino modenese, arrivava regolarmente, per posta, il pacchettino che a casa di mia zia aveva lasciato per noi nipotini la Befana! So che in altre zone d'Italia, soprattutto al sud, sempre nella notte dell'Epifania i regali li portano i Re Magi.

Sarà un caso, ma personalmente non ho mai incontrato un solo bambino che credesse seriamente in Babbo Natale. Se ne parla talmente tanto, ha intriso un livello del nostro immaginario così superficiale e smaccatamente commerciale, che mi piace pensare che anche per i più piccoli rappresenti solo un pretesto, una figura retorica, una metafora. I bambini magari fanno finta di crederci, perché è nelle regole del gioco per ricevere i regali. Oppure, “attacca” solo dove mancano corrispettivi veri, come per esempio Santa Lucia, che quella sì scava nel profondo dell'immaginario delle persone.

Una piccola conclusione venata d'ottimismo: dove esistono tradizioni veri, pensieri veri, cibi veri, l'omologazione globalizzante, ancorché pericolosa e incombente, non è così facile né scontata. Così per esempio, tra i suoi tanti difetti che ben conosciamo, l'Italia non è comunque un paese in cui tutti mangiano da McDonald e credono in Babbo Natale. E questa è tuttora una nostra piccola grande forza, su cui dovremmo saper contare.

giovedì 13 dicembre 2012

I diritti dei bambini in viaggio

«Che giochi fate in viaggio con i vostri bambini? Come giocate? E, soprattutto, quanto tempo ritagliate al gioco in vacanza?».
«Mi chiedono come è andata la scuola? io parlo… e loro mi dicono “aspetta c’è il tg”… riprendo a parlare e mi dicono… “aspetta aspetta che ora c’è una notizia importante” …e allora io alla terza volta non parlo più!».
Due aspetti della vita dei bambini che, considerati insieme, hanno suggerito l'idea di proporre, in rete, la “Carta dei diritti dei bambini in viaggio”:
«Il viaggio assume una rilevanza fondamentale, in quanto strumento di crescita e di conoscenza. (…) Il nostro sogno è che la sfida venga colta da tutta la rete. Vicina e lontana. I bambini hanno diritto a viaggiare. A sperimentare. Ad imparare attraverso l’esperienza diretta, ad essere consapevoli della natura che ci circonda, delle diversità culturali, dei diritti umani e della libertà altrui.».
In tempi in cui l'attenzione alle persone passa spesso in secondo piano rispetto all'adesione agli stereotipi suggeriti dal mercato e il livello di iniziativa dei singoli si limita per lo più alla scelta di prodotti già pronti da consumare (tecnologici, informativi, ma anche culturali, sociali, politici), ci troviamo qui di fronte non a una proposta chiusa a cui aderire semplicemente con un generico “mi piace”, ma a cui partecipare attivamente. Vale a dire: l'elenco dei diritti dei bambini in viaggio lo dovremmo continuare noi, pensando ai bambini che conosciamo e, ancor meglio, chiedendolo a loro direttamente, ascoltandoli davvero, sollecitandoli ad essere sinceri.
E chissà che, da un proclama importante ma per forza di cose generale, come la Convenzione ONU del 1989, che forse si fa fatica a calare nelle realtà di tutti i giorni, “scorporati” nelle diverse situazioni (in questo caso il viaggio, ma anche la scuola, la famiglia, il tempo libero, lo sport ecc.) i diritti dei bambini non possano diventare davvero quell'argomento di riflessione e di azione pratica di cui si avvantaggerebbe probabilmente l'intera società.

sabato 8 dicembre 2012

Comandare i robot

Quelli dell'istituto comprensivo don Milani di Latina con I loro robot li avevo già citati in un questo blog. Durante il Global Junior Challenge, a Roma, il 17 ottobre scorso, li ho visti all'opera dal vero e abbiamo potuto scambiare un po' di idee. Mi hanno fatto vedere in particolare come manovrano i loro automi Lego con i telefonini, usando software Android.
A distanza di tempo, cercando in rete, quel programma con quella interfaccia - che si intravede in queste sequenze video che ho girato con il mio telefonino - non l'ho trovato, e anzi per la verità ho visto poche cose in italiano. Per cui chiedo qui a loro - mentre li saluto e li ringrazio - se possono intervenire con un commento in cui segnalano esattamente che cosa usano.

Però intanto durante la ricerca mi sono imbattuto anche in software che consente ai robot di vedere attraverso i loro occhi-videocamera (era nell'aria da tempo, dato il crollo dei costi, ma adesso sappiamo che questa possibilità evidentemente c'è, anzi, l'articolo è del 2010!)
 

Tutti questi mi sembrano discorsi molto interessanti, che conducono direttamente verso quel territorio del fare (e immaginare, pensare, progettare) attraverso cui si formano i cittadini consapevoli della società dell'informazione, all'interno di esperienze in cui è naturale e necessaria l'interazione con adulti esperti e pure consapevoli, senza artificiosi conflitti, ma anzi con piacere e soddisfazione reciproci. Quel fare attivo che, in tanti discorsi che si sentono sull'aggiornamento della scuola verso la banda larga, i tablet, le LIM, troppo spesso ho l'impressione che rimanga pericolosamente sullo sfondo. Mentre, nella generale lamentazione sulle risorse che non ci sono, si verifica un abituale sottoutilizzo di quelle che invece avremmo a disposizione e non usiamo.
Proprio l'altro giorno in una scuola primaria ho chiesto un televisore, per attaccarci una videocamera e vedere le nostre riprese (mi pare l'ABC minimo della società dell'informazione, o no?) Mi hanno detto che non l'avevano. Poi hanno trovato uno schermo piatto LED che era lì da tre anni, ma nessuno aveva nemmeno mai aperto la scatola!

venerdì 7 dicembre 2012

Our weird pictures on line

As a professional working with children from more than 30 years using every kind of technology, my strong belief is that nowadays very young generations probably need more meadows to run than tablets to touch, in spite of that the conformists think, the huge crowd of flat, market dependent, dull and sad people of the “common” sense!
Personally, I do this way. If in a theory or description I recognise something of the the children I know, I consider that ideas worth of attention. If not, probable other reasons actually drive them.

I have not met Paola in person yet. She should have come to the meeting in Brescia last June, but then it changed its shape and dates and she couldn't. However, I know she works very well, as a teacher interested in a school true and alive. She too deals with technology, at high levels, but one feels that at the centre of every activity she puts the children, as playing and imagining people, far from the stereotypes. This is what I perceive when exchanging ideas and esperiences with her.
From her class a good example of how the caution and the need of respecting privacy publishing photos on line, can be not an may be not an obstacle, but an opportunity to do things even better and with more creativity, and not only with digital solutions!


mercoledì 31 ottobre 2012

Parigi a piedi? Noi selvaggi e le perline tecnologiche!

Sarò che sono io strano, forse un tecno vetero nostalgico, incapace di immaginare oltre la tastiera e il monitor monocromatico a fosfori verdi? Non credo. In fondo sto scrivendo l'incipit di questo articolo con Word  sul telefonino!
Ma il modo come ci riferisce oggi alla tecnologia mi lascia alquanto sconcertato e mi suggerisce l'idea della possibile proposta turistica del titolo.
Cioè, l'esempio di proporre tappe, strade, itinerari, scorciatoie, punti di ristoro, per visitare a piedi città grandi come Parigi, mettiamo che possa essere un discorso interessante. Oltre che bello, è salutare ed ecologico, e ho anche una discreta esperienza diretta di camminate in lungo e largo in città come Parigi, Londra, Roma, Barcellona, l'Avana, Belgrado. Si può anche fare un opuscolo o una pagina web in cui le parole “A PIEDI”, siano scritte belle in grande con sotto l'elenco più in piccolo di tutte le città disponibili per le nostre passeggiate assistite (se qualcuno del settore prende l'idea da qui, almeno me lo faccia sapere!). Ma sarebbe assurdo se poi, camminando per Parigi, l'attenzione si concentrasse sui nostri passi, ignorando la città!

E' esattamente quello che in generale mi sembra stia succedendo quando si sente parlare oggi per esempio di tablet e di LIM. Che cosa ci si fa di davvero diverso, di grazia, con questi aggeggi direttamente proiettati dentro il futuro?
Qualche giorno fa ero in una classe V elementare di Roma, dove strani bambini con strane maestre e strani esperti esterni lavorano sulla programmazione, usando il LOGO (pensiero “digitale” vero secondo alcuni, secondo altri probabilmente inutile fatica da altri tempi, oggi che per fare tutto basta comprare una “app”!). Lavoravano alcuni sulla LIM (usandola proprio come lavagna, non come proiettore!), dove anche gli altri dal posto potevano osservare, e alcuni nei banchi, su computer portatili. Era, banalmente, lo stesso lavoro con strumenti diversi, che hanno un uso specifico diverso. Era lavoro comunque di gruppo, perché i bambini lavorano bene in gruppo (e da questo punto di vista, il tablet da solo, in quanto strumento tipicamente individuale e di consultazione più che di produzione, rischia di rappresentare addirittura un regresso).

Quello che mi lascia francamente perplesso, in tutti questi decenni di continue “rivoluzioni” tecnologiche, è il nostro perdurante atteggiamento da “selvaggi” che si fanno abbagliare dalle perline che via via offre il mercato, sognando che possano cambiare la loro vita. Gli audiovisivi, le videocamere, i pc, internet, la LIM, i tablet. Non ci interessa capire come possono entrare davvero in rapporto con la nostra vita e il nostro lavoro, imparare a usarli con le loro possibilità e i loro limiti. Proclamiamo a gran voce che “questa sì è la novità definitiva” e il più delle volte ci fermiamo poi ad aspettare che qualcuno ci insegni come si usa. Atteggiamento vecchio, di chi crede di essere cresciuto con i libri e in realtà è stato formato, profondissimamente, dalla televisione!
Adesso è uscito Windows 8, che integra il “touch” per ogni device! E mi piacerebbe proprio vedere, a parte certi fantasiosi esercizi retorici, quanti nella realtà di un ufficio, o di in uno studio di progettazione, un posto cioè dove non si fa spettacolo, ma si lavora e si produce, sceglieranno di usare il touch screen invece del mouse. Per favore, non scherziamo!

mercoledì 10 ottobre 2012

Caro Ministro, ma davvero pensi alla scuola possa servire un “tablet” in ogni classe?

Rileggo la notizia: «Il Ministero quest’anno darà un tablet ad ogni classe per la gestione del registro elettronico, della comunicazione. Partiamo con scuole medie e superiori, l’obiettivo è creare una filiera complessiva” perché il tablet“ è lo strumento del futuro, l’equivalente di ciò che nel passato è stato il libro».
Prego? La comunicazione di che, a chi? E come funzionerà la cosa? I ragazzi – 30 per classe! - si passeranno uno per uno la magica tavoletta per toccarla e ricevere la “comunicazione”? E che cosa c'entra il registro elettronico con il libro? E la “filiera”? Siamo all'ortofrutta 2.0?

Sembra che stiamo assistendo al solito pasticcio molto italiano in cui con la paroletta magica si vuole dare l'impressione di dare una risposta “aggiornata” ai problemi della scuola, e nessuno sa davvero di che cosa si sta parlando.
Ricordate le precedenti “rivoluzioni”? Gli audiovisivi, e poi le aule informatiche, e appena ieri le LIM? Adesso i tablet! Ovvero, come riempire la scuola di tecnologia in modo totalmente approssimativo, ideologico e inutile!
Non sto qui a parlare degli edifici fatiscenti, degli insegnanti precari e frustrati, dei ragazzi demotivati, dei dirigenti “manager” che non riescono ad avere indietro dallo stato milioni di euro “anticipati” negli anni dalle scuole. Questi sono problemi grossi, e certo non si risolvono con un tablet (che in inglese, per chi lo conosce, vuol dire pastiglia, medicina!)
Parliamo invece di bambini e ragazzi che – dall'infanzia alle superiori, io l'ho verificato costantemente (sarò l'unico?), da decenni - quando riesci a coinvolgerli e a farli giocare, pensare e immaginare con le parole, i numeri, le scienze, l'arte grafica, il teatro, la musica, il disegno, la tecnologia quale che sia, sempre (ripeto la domanda: sono l'unico ad averlo visto?) rispondono con partecipazione, voglia di fare, spesso vero e proprio entusiasmo. Perché il loro problema principale – banalissimo, lo ripetono da sempre gli psicologi ma la scuola come istituzione non ne tiene conto - è di potersi esprimere ed essere ascoltati. Persone che non vivono la scuola come un ambiente estraneo, renderanno poi meglio anche nell'apprendimento e useranno con proprietà la tecnologia che serve (che non necessariamente deve essere quella più di moda!?

Caro signor Ministro, il tablet sarà il “libro” del futuro. Ma la differenza con il passato è che non da oggi, ma da qualche decennio ormai, i libri, come i film, la televisione, la fotografia, i giornali e in definitiva tutto quel mondo di comunicazione in cui i ragazzi di oggi nascono, non solo chiunque lo può consumare, ma anche direttamente fare. A questo servirebbero i computer, e sembra che da 30 anni la preoccupazione più grande, diciamo del “sistema”, è di non farcelo capire! Con i computer ognuno di noi può assemblare in modo “professionale” quei contenuti che poi con aggeggi più agili come i tablet, i telefonini o altro, possono ancora più facilmente essere diffusi e condivisi. Quello che conta ed è significativo però non è l'aggeggio, ma i contenuti; non la possibilità non solo di accesso, ma di produzione!
Credo fermamente che uno dei problemi grandi delle nuove generazioni oggi – ancora prima che si ritrovino senza un lavoro e senza speranza nel futuro – sia da bambini intuire la possibilità grande di essere anche loro, fin da piccoli, usando mezzi digitali intuitivi e facilissimi, protagonisti possibili della società dell'informazione, e poi ritrovarsi in una scuola e in una società che sistematicamente deprimono le loro intuizioni e il loro entusiasmo e li addestrano unicamente al ruolo di beoti e passivi consumatori, condannati a non poter scegliere.
Senza esagerare con le generalizzazioni, il percorso dei nostri figli, dai 5 ai 18 anni, va spesso dall'entusiasmo alla noia. Con conseguenti ricadute sociali a volte pesantissime, dal bullismo alla droga.
E il ministro alle classi regala un tablet, perché è il libro del futuro!

martedì 9 ottobre 2012

Pedalando in salita: il futuro digitale che abbiamo inventato, 3

Qualche tempo fa stavo pedalando sulla ciclabile per Botticino Mattina, là dove la pista per una cinquantina di metri si inerpica arrotolandosi come una scala a chiocciola e non permette di proseguire di slancio. Se non hai il cambio, devi scendere e farla a piedi, e se ce l'hai devi scalare un po' di rapporti per poter superare il punto in agilità.
C'è una signora anziana che scende tenendo la bicicletta a mano, speriamo che mi lasci lo spazio per passare... Lei mi guarda ed esclama: “Forza giovani!”
Oddio, tanto giovani proprio non direi!” e intanto ci scappa un piccolo sorriso, di saluto alla signora, ma anche di compiacimento, perché sono ormai in quell'età in cui certi commenti fanno comunque piacere!

Qualcosa di simile anche qualche giorno prima, su per il colle San Giuseppe, zona nord di Brescia, una salita non lunga ma con i suoi perché, diversi cambi di pendenza e alcuni tratti duri. Ho ripreso un po' di fiato e vedo l'ultimo tornante. Vado su tranquillo, perché non voglio arrivare in cima con il cuore in gola: chi me lo fa fare?
Sento una voce che dice qualcosa come: “Stai andando su piano, eppure sei giovane!” Poi il signore anziano sulla bici da corsa mi affianca, mi guarda e si corregge: “Beh, non proprio tanto giovane! Forse però più di me!”
Sono indeciso se compiacermi per l'apprezzamento del mio lato B ciclistico o il deprezzamento della mia faccia, mentre il tipo prima mi supera di slancio e poi rallenta, proprio all'attacco dell'ultima impennata. Gli stavo dicendo che la sua bicicletta pesa comunque la metà della mia, quando lui mi chiede se ho il cardiofrequenzimetro. Il dottore – mi spiega – gli ha detto di non superare mai un certo numero di battiti. Lui ha 75 anni ed è importante in bici non chiedere troppo al proprio fisico: un accessorio indispensabile!

Mi viene da fare una considerazione. Avere i dati precisi del tuo cuore sotto sforzo è senz'altro utile al dottore che ti segue; può servire anche a chi fa sport agonistico per confrontare le prestazioni ai diversi livelli di allenamento, o magari anche in gara. Ma che occorra un aggeggio elettronico per sapere che ti stai sforzando troppo... se ci si pensa, è abbastanza assurdo! E' il tuo corpo, cribbio! Non sai ascoltarlo?
Io prima avevo il fiato grosso quando la pendenza era forte, e così sono andato avanti piano quando la strada ha spianato, per recuperare un ritmo più tranquillo. Sull'ultima impennata, ho gestito la cosa in modo che non mi tornasse il fiatone, tanto è vero che sono riuscito a fare tranquillamente conversazione con quel signore. Cioè, ho fatto esattamente quello che a lui aveva consigliato il dottore, anche senza il cardiofrequenzimetro. Che certo può essere di aiuto, ma non dovrebbe sostituire la nostra capacità di ascoltare il proprio corpo.

Intendiamoci, può essere interessante ripercorrere poi al computer, con i percorsi, la velocità, le salite le discese, anche tutta la storia del proprio cuore in allenamento, con quei programmi che registrano tutto sul telefonino! Così come sono accessori utili quei contapassi al collo o al polso che alcuni di noi eleggono a sorveglianti attenti delle loro vite sedentarie. Ma si aprono anche possibili scenari inquietanti di esseri dipendenti dalle estensioni digitali, incapaci di autonomia sensoriale: non solo i giovani che senza navigatore satellitare in macchina si perdono, ma anche i vecchi che sentono la necessità di aggeggi elettronici per controllare il proprio cuore. Altro che“gap” tra le generazioni! Dai 15 agli 80, potremmo tutti tendenzialmente ritrovarci deprivati digitali!

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Futuro Dgitale che abbiamo inventato 1 
Futuro Dgitale che abbiamo inventato 2 

venerdì 5 ottobre 2012

Ancora in mostra i “Concittadini inaspettati”

Non so se faccia propriamente notizia, ma ai bambini quelle foto macro di insetti e bacherozzi piacciono sempre, e vedo che anche fuori dalla loro cerchia tutto sommato interessano, e drizzano l'orecchio educatori, intellettuali abitualmente distratti, perfino giornalisti forse annoiati dalla banalità della solita cronaca, politica, nera o sportiva che sia!
Già, a volte basta poco per portare l'attenzione verso qualcosa di diverso dalla finta realtà che finge di appassionarci in televisione, dalla tecnologia non usata ma contemplata ed esibita per moda, dalle possibilità immense di comunicazione consumate in riti di quotidiana inutilità, ormai arresi come siamo e rassegnati all'ineluttabilità delle crisi, economica, ambientale, sociale, umana. E quando questo poco si manifesta, allora molte persone istintivamente si scuotono e ritrovano la molla potente della curiosità.

Si comincia uscendo e guardandosi attorno, e i luoghi quotidiani diventano interessanti quando troviamo l'insetto, non solo quello strano, insolito, raro, ma anche le banali mosche o formiche, che osservate così da vicino non sono poi affatto banali e rivelano dettagli sorprendenti nelle riprese macro, anche quelle a volte sorprendentemente facili, in fotografia e in video.
Ecco che il “gadget” digitale torna ad essere strumento, che accompagna i nostri occhi, le nostre mani, nei gesti di osservare tra l'erba e i sassi, di scavare sotto la terra e le foglie, di chiamare quando troviamo qualcosa. Ecco che il cortile sempre pensato banale si rivela habitat ricco di vita e di insegnamenti. Ecco anche che la “distanza tra le generazioni” diventa un argomento lontano e privo di senso (ma perché mai continuiamo a parlarne come se fosse vera?), e ogni umano con naturalezza partecipa per quello che è e che sa, e scopre la potenza grande del fare insieme. E del condividere, non solo le maestre con bambini, ma i nonni con i nipoti, come oggi che esponiamo in una residenza per anziani.
In realtà, si tratta ancora della mia prima e per ora unica mostra fotografica. Senza la potenza e facilità dei mezzi digitali non sarei mai riuscito a realizzarla. Videocamere che basta avvicinarsi e tenere il polso saldo; macchine fotografiche che puoi provare e riprovare, sbagliare quanto vuoi a costo zero; software di fotoritocco che rendono semplicissimo tagliare le immagini e consentono anche ai non esperti di correggere all'occorrenza colori, ombre e luci; stampanti con cui puoi fare in casa con qualità professionale (anche se forse portare tutto a un laboratorio, a conti fatti può costare meno!)
Sarà una mia fissa, ma continuo a pensare che leggere il giornale o guardare il film nel tablet sono cose che forse semplificano, ma certo non cambiano la vita; fartelo tu il film, o il giornale, con un montaggio vero, i titoli e gli effetti speciali, o l'impaginazione come i professionisti, e poi pubblicare on line così che senza spendere un euro tutto il mondo ti può vedere e leggere: quello magari sì, può cambiarti la vita! Cioè, oggi praticamente chiunque può fare cose che prima non avrebbe mai fatto. E può – come prima non avrebbe mai potuto – diventare protagonista.
Anche solo guardando le foto e ascoltando come sono state scattate insieme con i bambini, i più giovani questa grande possibilità la intuiscono ( e poi ci sono i video, le voci dalle uscite, c'è in rete il Museo Virtuale dei Piccoli Animali, realizzato con il contributo di bambini di tutto il mondo). Vediamo adesso, di questa mostra“Concittadini Inaspettati”, cosa diranno i nonni?

Si inaugura a Brescia, nella residenza Villa Elisa, via S.Polo 2, domani sabato 16 alle ore 11, e resta esposta fino a domenica 21 ottobre.

domenica 23 settembre 2012

Con Nintendo DS e i Pokemom, ritorno al futuro: la tastiera!

Fanno sorridere, in molti film di fantascienza degli anni '80, gli schermi a tubo catodico bombati che spesso ritroviamo nelle astronavi del “futuro”. Allo stesso modo, tra qualche anno probabilmente sorrideremo dei più avveniristici ma improbabili touch screen trasparenti con i quali nei film di oggi si immagina che la complessità dei computer un domani potrà essere ridotta a pochi gesti plastici, sfogliando le funzioni con le dita come oggi si fa con i giornali della rassegna stampa in TV o con le foto delle vacanze sull'iPad. E anche con la precisione sintattica estrema di un vulcaniano, è difficile immaginare di poter dire a voce, in tempi accettabili, tutta quella sequenza di selezioni che, tra menù e sottomenù, si compiono in pochi secondi con un mouse. Chi poi con il computer ci lavora davvero, sa che ancora oggi il modo più veloce per dare i comandi restano – e per questo conviene impararle a memoria, perché poi si risparmia un sacco di tempo - le combinazioni di tasti sulla tastiera: crtl + c = copia; crtl + v = incolla crtl + s = salva; ecc.

Proprio la vecchia cara tastiera torna protagonista alla grande – e rischia di essere qualcosa di clamorosamente importante - nella nuova proposta di Nintendo, casa che, più che seguire le mode, spesso innova in modo anche clamoroso. Basti pensare allo schermo tattile, introdotto per la prima volta in un prodotto di largo consumo con la Nintendo DS; o alla Wii, che ha cambiato l'idea stessa di videogiochi. Gli stessi Pokemon, divenuti cultura dei bambini di tutto il mondo, dimostrano quando possano essere popolari giochi impegnativi anche dal punto di vista mentale e conoscitivo. E' anche osservando come i bambini spontaneamente imparano i nomi, la classificazione, le proprietà dei Pokemon, che io personalmente ho rotto gli indugi nel proporre il mio Museo Virtuale dei Piccoli Animali.

Impara con Pokemon si gioca con la tastiera. E la si impara, gradualmente, dalla singola lettera alla fila di caratteri vicini, fino alla capacità di individuare i tasti e di pigiarli senza guardare, usando tutte quante le dita! E quando arrivano all'ultimo livello, con l'ultimo Pokemon, a sette o otto anni i bambini, senza accorgersene, sanno già scrivere come un dattilografo!
Troppo bello per essere vero? Forse. Ma il mondo - parlo per la mia esperienza personale con i bambini - è pieno oggi di possibilità anche molto facili da cogliere, che risolverebbero forse un sacco di problemi (l'attenzione, la motivazione, il bullismo ecc.) e che ostinatamente per esempio la scuola continua a ignorare. Che alla Nintendo abbiano scoperto l'uovo di Colombo, perché tutti i bambini possano conseguire giocando abilità che normalmente si conquistano in altre età, attraverso corsi lunghi e spesso noiosi?

Dopo di che, come sottolineava anche il professor Andreoletti, durante la presentazione giovedì scorso a Milano, il fatto di usare abitualmente la tastiera non significa – come sembrerebbero intendere certe scelte “futuriste” che qua e là prendono piede in questo mondo confuso – la “inutilità” dell'apprendimento oggi della scrittura tradizionale, e in particolare del corsivo. Non è questione solo se dopo la si usa tanto oppure no. A parte che l'istruzione dovrebbe favorire le libere scelte di ogni individuo e non un conformarsi solo a quello che fa la maggioranza, la scrittura manuale comporta comunque l'acquisizione di abilità psicomotorie che, non sappiamo quanto, sono importanti in generale per lo sviluppo cognitivo. E sono inquietanti i possibili scenari in cui umani civilizzati, in mancanza di una tastiera o di interfacce digitali, non siano in grado di tradurre con le proprie mani i pensieri in segni sulla carta, su una lavagna, sulla sabbia.

martedì 18 settembre 2012

Children tell how they “made cartoons”!

From that experience, Ospitaletto (Brescia, Italy, 1996) it came the wonderful drawing of the mouse, that I have used a lot of times during years. Another great image is the one about “copying” voices with the cassette recorder!
I've always been trying to look at true children facing personal media, and now, as recovering old documents and listening again after so much time to those real voices, though 15 years “old”, I think that they are worth to be spread around, to be published.
The video is taken from an original VHS, and 5 years old babies tell how they made “cartoons”, just clicking on “small pictures” on the screen, making images and sounds to come and go from the screen. There are many transitions and titles, and only a few real animations in this video (the main aim was to write a book, as actually we did, printed). Though, this is maybe enough to evoke another possible story, of children making multimedia with a professional software (Scala MM 400 in this case) as well as trying easy and very powerful animations with the unreachable anim-brushes of the old Amiga (out of the experience of most Microsoft and Apple users!)
Actually, kindergarten children couldn't manage alone a professional software like Scala, but they could deal very well with graphic objects and their position on the pages, with the in and out effects and transitions. And naturally, create astonishing animations in few seconds just dragging the mouse across the screen (little but better examples are in Ulisse, Con il Topolino..., Ciak si gira.
In order to see kids working without an adult guide, in my experience they are to be at least in the 4th grade of primary school. I first tested it in a perfect workshop situation, year 2000, with Scala Infochannel Designer on Windows (without anim-brushes, of course!), with a whole group of nine years old working quiet alone, after a 15 minutes introduction.
But their true voices... this is what generally, speaking about children, we have not the occasion of listening to



mercoledì 12 settembre 2012

Giochiamo al cinema senza parole


Ieri, nel fare ordine tra montagne di carte, ho trovato alcuni disegni di bambini che vengono da un progetto di altri tempi, “Giochiamo al cinema senza parole”, realizzato nel 1995 con Alberto Lorica in due scuole materne di Brescia, in occasione dei 100 anni del cinema. Anzi, dovrò chiamare Alberto e chiedergli se gli è rimasto qualcosa, perché tra tutte le decine di video con cui posso ripercorrere per ampi tratti le mie storie di animazione, a quanto pare proprio questo montaggio, paradossalmente, mi manca!
Credo sia importante per ognuno di noi, mentre si fanno tutti i giorni i conti con le gioie e i dolori del proprio presente, mantenere il senso della piccola storia che abbiamo attraversato per arrivare fin qui. Soprattutto quando si fanno attività con i bambini, i quali, prima di venire risucchiati nel conformismo sociale che soprattutto di questi tempi tutto sembra omologare e appiattire alle mode e agli stili di vita del momento, hanno comportamenti, reazioni, emozioni che rispondono a costanti antropologiche che variano molto poco nel tempo. Cioè, a differenza di quanto suggeriscono certi luoghi comuni, i bambini di oggi a stimoli simili rispondono praticamente allo stesso modo dei bambini di 30 anni fa. Anche se magari giocano abitualmente con giocattoli diversi.
Il “giocattolo” che portammo allora nelle scuole era già per quei tempi un oggetto antico e sconosciuto: un proiettore cinematografico 35 mm. Ricordo anzi che era del Comune, ma nessuno se ne ricordava, e Alberto dovette convincerli che da qualche parte ce l'avevano. Fu trovato, e alla fine ci presentammo nelle scuole con quell'aggeggio insolito e le “pizze” di un film di Charlot. E già aprire con i bambini quelle misteriose scatole metalliche fu l'inizio di un'avventura nuova e un po' magica.
Devo cercare se ho qualcosa del girato hi-8 (si lavorava con due videocamere, e probabilmente io e Alberto ci eravamo portati a casa le rispettive cassette... ahi, che vuoto di memoria e documentazione!), per ritrovare e magari pubblicare qualche sequenza in cui i bambini si affollano con curiosità ed entusiasmo attorno alla pellicola, a sbirciare la storia interessantissima nel fitto susseguirsi di fotogrammi che sembrano tutti uguali e che invece alla fine sono diversi! Nel 35mm le immagini si vedono, colpiscono i sensi e l'immaginazione prima ancora di passare davanti alla luce che darà loro il movimento, e questo costituisce per i bambini un'esperienza sensoriale completamente diversa e molto più intensa di quella che può offrire, al primo approccio, una video cassetta (o un DVD, un lettore MP4, un pen drive!).
Quando poi si fa il buio, si accende la luce del proiettore e le bobine cominciano a girare, non nella lontana cabina di un cinema ma nella propria aula di scuola, allora è quasi un rito collettivo. Bellissimo!

Se proposto in un contesto adatto, il film muto piace ancora molto ai bambini piccoli, che si ritrovano nel suo linguaggio espressionista, nei gesti e nelle espressione carichi e accentuate, nella comicità spesso “infantile”. E subito si prestano a giocarlo, a riprodurre scene e situazioni, a copiare azioni e movimenti.
In quell'occasione, mi ricordo che a turno alcuni bambini si travestivano con vestiti e cappelli, per assomigliare ai personaggi del film, e si presentavano ad altri bambini che li osservavano, attraverso la videocamera montata su un cavalletto. Come una sorta di provino per gli attori, di esercizio per i “registi”, prima di iniziare a girare le scene vere e proprie, in cui le macchine da presa sarebbero state manovrate dai grandi, ma i bambini sarebbero stati comunque i protagonisti, giocando a turno alcune tra le scene preferite e controllando intanto gli altri le riprese in diretta su un monitor.
Dal film di Charlot al nostro gioco, divertente e serio al tempo stesso, curato nei particolari: fu una bella esperienza, per noi, i bambini, le maestre, nei giorni dei 100 anni del cinema!