sabato 18 ottobre 2014

Il Museo Virtuale dei Piccoli Animali cambia casa!

Si chiamava “Visible children” ed era un bel progetto! Contro la “sindrome del bambino trasparente” che affligge l’infanzia di oggi.
Oggi Jacopo Michieli ha rimesso in piedi alla grande le attività presso la storica sede della Gracchia, mentre io sono alle prese con il problema se riusciamo a far partire veramente e finalmente, urbi et orbi, l’idea ambiziosa lanciata da Giovanni Lariccia di Impariamo a Imparare.
The Children’s Virtual Museum of Small Animals stava nello spazio web di “Visible children”, referenza on line a suo tempo solo nostra e che oggi rimanda ad imprese altrui.
Morire per rinascere: un mito antico! Non rinnovare un dominio, e ricominciare da capo la faticosa scalata verso la visibilità on line!

In realtà, per l’ennesima volta, il Museo si sta rinnovando completamente, a cominciare dalle questioni tecniche (“gallerie” Java piuttosto che Flash, così che si vedono anche sui tablet e permettono di scaricare le immagini), fino all’ennesimo tentativo, appoggiandosi questa volta a un progetto molto più ampio e collettivo, di far decollare quella partecipazione globale di persone e di scuole che finora è stata in realtà solo episodica e accennata (pur con momenti alti, come la pubblicazione in America con la Scuola che Funziona).

Anche per questo, forse non è un gran male “rinascere”, ricominciare.
Il nuovo indirizzo ricorda nel nome il mio blog professionale fantasma, e attorno a cui avevo poi organizzato una serie di attività che pure sono da riprendere.
Nel frattempo,  ho pubblicato ebook tematici con le edizioni Mammeonline (dai, costano poco, comprateli!), e mi sono anche deciso ad attivare il mio spazio da fotografo sul web, che per un annetto era rimasto lì vuoto, in un contesto in cui si ritrovano risorse di immagini inimmaginabili, spesso di altissima qualità, che si rivelano utilissime, per esempio immettendo nella casella di ricerca nomi di ordini, famiglie, specie di insetti, al lavoro sempre necessario di confronto e verifica per capire, conoscere, identificare. Li potete trovare la fotografia che correda a questo articolo, (pure pubblicata nel Museo), che sta con altre in un ancora piccolo ma comunque incoraggiante album delle mosche!

lunedì 22 settembre 2014

Potenza e pedanteria del pensiero digitale, 1

Piccola premessa, a chiarire un po’ di equivoci che girano.
Intanto, digitale significa “numerico”. Deriva dall’inglese digit (cifra, numero), che a sua volta deriva dal latino digitus (dito, cioè il primo “attrezzo” usato dall’uomo per contare). Nella lingua italiana, usiamo la parola “digitale” anche derivandola direttamente dal latino, quando parliamo per es. di “impronte digitali” (delle dita).

In questi anni, dato che gli aggeggi tecnologici di cui ci riempiamo la vita hanno un cuore digitale (numerico),  c’è chi ha ipotizzato che le generazioni umane recenti stiano sviluppando una sorta di “pensiero digitale”, contrapposto al tradizionale pensiero analogico degli umani.
In realtà, osservando la facilità con cui non solo generalmente i bambini – che con i dispositivi digitali ci nascono - ma anche moltissimi adulti e perfino anziani che vi si accostano per la prima volta, si destreggiano con gli aggeggi più recenti, non è difficile capire come certi dispositivi digitali dentro (computer, telefonini e via dicendo) siano diventati popolari e accessibili a tutti nel momento in cui sempre più hanno assunto una interfaccia utente analogica (il mouse che sullo schermo simula la scrivania, le dita che direttamente toccano “disegnini” sullo schermo, o stringono e allargano un’immagine).
Vale a dire, l’eventuale migrazione degli umani verso un “pensiero digitale”, che qualcuno ipotizzava nei primi anni Ottanta del secolo scorso, quando i computer si programmavano da tastiera con comandi e istruzioni pedanti ed estremamente precisi e si pensava che il “futuro” fosse il linguaggio BASIC, è stata poi aggirata costruendo macchine digitali in realtà sempre più vicine, nel funzionamento, all’approccio analogico degli utenti umani.

Questo, se da una parte (ed è un vantaggio) consente a chiunque di utilizzare con profitto gli strumenti tecnologici di oggi anche senza avere una vera competenza tecnologica, dall’altra (e può essere un problema), non sollecita quel confronto “in sintonia” con le macchine che, al tempo dei computer da programmare, aveva fatto scoprire a molti ragazzini di avere una mente adatta a misurarsi con il funzionamento profondo delle macchine stesse o, più umilmente, faceva almeno intuire a tutti il lavoro umano e il tipo di “pensiero” che sta dietro ad applicazioni facili e potenti e a videogiochi mirabolanti.
In altre parole – questa ovviamente è una mia opinione, ma si basa su un’esperienza di decenni sul campo, cioè nelle scuole con i ragazzi veri, molto vasta -  non solo diventa più difficile, dato l’uso generalizzato di applicazioni già pronte e sempre più specifiche, che non comportano alcuna ricerca di tipo informatico, che nascano ed emergano naturalmente dal gruppo nuovi Paul Allen, Steve Wozniak, Richard Stallman, Linus Torvalds, ma rischiamo seriamente di perdere alcuni elementi basilari di alfabetizzazione, rispetto a linguaggi che si sono sviluppati molto in fretta, e di cui non sono stati ancora individuati con precisione gli elementi di base e le “grammatiche” che sarebbe utile fossero conosciuti da tutti.

La frenesia da digitalizzazione oggi è di moda, ma spesso si traduce solo in nuova inutile burocrazia digitale, con una pericolosa sottovalutazione dell’approccio estremamente superficiale ai veri “alfabeti” visivi e multimediali che stanno globalizzando la cultura del pianeta e il cui utilizzo è oggi indirizzato, più che dai sistemi educativi, sostanzialmente dal marketing.
Così, "saper usare” un tablet o una LIM, seguendo l’istinto o le istruzioni (senza magari avere mai imperato a tagliare una fotografia!), non garantisce affatto consapevolezza “informatica”, come non la garantiscono le “patenti di computer” basate su un uso prevalentemente da ufficio che se ne faceva nei primi anni Ottanta e che qualcuno, a mio parere oltre ogni evidenza, ancora considera “di base”. Mentre può essere un buon segno che nella scuola italiana si stia tornando a parlare di informatica come programmazione.

Programmazione: cioè imparare fin da piccoli che siamo noi umani a istruire le macchine su quello che devono fare, e provare a vedere che cosa succede quando diamo queste istruzioni, come risponde la macchina, se sono giuste o sbagliate.
Posto che il funzionamento delle macchine di oggi - non di quelle di ieri e forse non di quelle di domani - cioè quello che potremmo chiamare “pensiero digitale” è il linguaggio macchina, che si esprime in codice binario o esadecimale ed è conosciuto bene solo da una piccola parte degli informatici di professione, esistono tanti linguaggi cosiddetti di alto livello che consentono di istruire le macchine secondo modalità molto più simili a quelle di noi umani, e alcuni sono perfettamente accessibili anche ai bambini.

Sto montando un video che ho girato con bambini della scuola primaria che, durante il passato anno scolastico,  guidati dal prof. Giovanni Lariccia, hanno lavorato con il software Iplozero, una versione del linguaggio di programmazione LOGO, su cui qui ho già scritto alcuni articoli. E, oltre gli stereotipi con cui spesso vengono descritti, ho visto bambini veri comportarsi da veri protagonisti, come succede sempre quando, nella pratica educativa, si “resettano” i luoghi comuni e le routine abituali e si fa leva sulla curiosità, la voglia di conoscere, di provare, capire tutti insieme. Succede con i computer come con le videocamere, con gli insetti del cortile come con i giochi corporei di espressione teatrale...


Continua…

martedì 9 settembre 2014

La meravigliosa adunanza presso l’edera in fiore

In questi giorni sto finalmente mettendo ordine nelle “gallerie” del Museo Virtuale dei Piccoli Animali, convertendole anche da Flash a Java. Questo rende i contenuti più accessibili, anche dai tablet che con Flash non si ritrovano più!
Una delle ragioni principali per cui l’idea del “museo” nel tempo è piaciuta (a proposito, siamo sempre in cerca di collaborazioni e sponsor!) e ha trovato spazio in pubblicazioni anche internazionali e di prestigio, credo stia nel fatto che mette d’accordo in modo semplice e immediato la natura e la tecnologia.
Si cercano insetti e ragni nel cortile della scuola (che dopo per i bambini non sarà più lo stesso!), li si “cattura” con fotografie e video (anche chi non lo ha mai fatto, ottiene spesso risultati sorprendenti!), li si osserva nello splendore del macro e poi si condividono i documenti in rete. Senza contare l’entusiasmo, la sorpresa e la meraviglia, l’interesse duraturo dei bambini, che poi ricercano, disegnano, raccontano, e spesso insieme convergono verso conclusioni scientificamente ineccepibili (“le api succhiano e le vespe tagliano!” Parola dei bambini di prima elementare, e degli scienziati!)

Piccoli animali si trovano dappertutto, ma ci sono ambienti dove più volentieri  si danno convegno. Se noi li ci appostiamo e osserviamo, sarà meglio che leggere un libro, che navigare su internet: arriveranno in tanti a incontrarci, stupirci, meravigliarci, veri, vivi e presenti. E l’occhio, l’orecchio a volte, la videocamera o la macchina fotografica con l’ obiettivo macro (cose non più da professionisti, ma da bambini ormai, da parecchio tempo e anzi, a volte meno ci si “aggiorna” seguendo i capricci del mercato, e meglio è!) moltiplicheranno la nostra capacità di vedere e di ricordare.
Così, per esempio, molti insetti diversi visitano i fiori di lavanda, così come ricca e differenziata è la folla che si dà convegno sulle ombrellifere.
Nella mia esperienza empirica, un ambiente che favorisce un’osservazione comoda e ricca è l’edera in fiore. Sta abbarbicata in quantità sul muro o sul cancello, non occorre neanche muoversi e spostarsi, ma basta avere pazienza e aspettare. A parte gli ospiti “fissi”, come ragni e cimici, è un continuo volo di api e vespe di ogni foggia e dimensione, e mosche tante e diverse da non credere. Arrivano, si spostano velocemente, non sono sempre agevoli da fotografare, ma facilmente ritorneranno.

Con le macchine digitali conviene scattare tanto, tantissimo. Non costa niente e non solo avremo più possibilità di ottenere immagini soddisfacenti, ma spesso ci capiterà di scoprire, rivedendo in grande, particolari che proprio non ci aspettavamo. Come gli occhi bianchi punteggiati di rosso dell’ Eristalinus sepulchralis (e chi se l’aspettava? E che razza di nome gli hanno dato!)

Il calabrone che si “pettina” era su un’altra edera alcuni anni fa, mentre ieri ho cercato di prenderne uno in volo, e anche se mossa l’immagine è suggestiva. Davanti all’edera in fiore, il suo volo si annuncia e si sente, si impone con un forte ronzio. Ma quasi altrettanto rumore fa anche la grossa mosca che lo imita, la Volucella zonaria!

domenica 31 agosto 2014

La rete, il pensiero, l’azione, e il mondo che non abbiamo capito come cambiare

Sto raccogliendo i vari link alle persone che potrebbero essere interessate a una iniziativa che si sta preparando. Contatti Facebook, Twitter, Linkedin, Google +, Skype, Messenger (non butto via mai niente!), per non parlare delle varie liste, agendine, elenchi ad hoc di partecipanti ad attività e iniziative passate.
Penso alle cose che fanno, alla storia, alla qualità di tutte queste persone, ognuno con i suoi gruppi, e progetti, con la sua sfilza di collegamenti e “amici”…
Una forza potenzialmente immensa, e siamo tutti lì, virtualmente in grado di collegarci e di fare…
Storicamente, il grosso miracolo del Social Web, mentre dava l’opportunità alle persone comuni, a chiunque, di cambiare se davvero lo volessero il mondo, è stato paraddosalmente la capacità nello stesso tempo di nascondere questa opportunità, in modo che nessuno se ne rendesse conto!

Continuiamo a farci gli affari nostri, magari li raccontiamo in rete, spesso anche quando non sarebbe proprio il caso, e nei gruppi discutiamo, litighiamo, cazzeggiamo, ma manca desolatamente la capacità di incidere davvero nella realtà. Nonostante il numero e la qualità, ci sentiamo soli, isolati e indifesi nei confronti della politica, che decide per esempio delle riforme della scuola, e del mercato, che stabilisce quali aggeggi dobbiamo usare e per fare che cosa.

Quella incredibile capacità di innovazione rappresentata dalla condivisione attiva che, in presenza di una rete infinitamente meno efficiente e diffusa, negli anni Settanta e Novanta riuscì a far cambiare radicalmente l’orizzonte industriale di imperi come IBM e Microsoft costretti, a causa di un movimento che cresceva “dal basso”, loro malgrado a “convertirsi” al personal computer e a internet oggi, sembra essersi irrimediabilmente allontanata dal nostro orizzonte.
Continuiamo a fare essenzialmente le cose che facevamo prima, credendo che l’innovazione sia solo una questione di digitalizzarle e metterle in rete. Così ebook, e-commerce, e-learning, webinar, oltre che possibilità di svolgere da casa in rete cose come comprare i biglietti del treno o dell’aereo, o farsi rilasciare certificati dalla pubblica amministrazione, e così via . A volte è davvero utile e c’è un senso, a volte meno, a volte c’è anche tanta ideologia (es. qualcuno spieghi perché, se la scuola è a due passi, io adesso devo iscrivere mio figlio on line?)

Quello che propria manca, è quella sensazione di “potenza”, che a me per esempio viene istintivamente, solo a scorrere l’elenco dei miei contatti. Anzi, non solo nelle persone datate come me, che magari hanno imparato tardi a destreggiarsi con i mezzi, ma anche in quelli che qualche buontempone ancora chiama “nativi digitali”, predomina un senso di diffuso fatalismo, di ineluttabilità. Come se la lezione prevalente fosse che a decidere sarà sempre e comunque qualcun altro.
È l’apoteosi del mondo digitale a rovescio, quei gesti e quell’atteggiamento che, interiorizzati, fermano qualsiasi possibile rivoluzione o vero cambiamento. Perché se per smettere ti abituai a schiacciare un pulsante dove c’è scritto “start”, ti si sballa comunque un po’ tutto il tuo sistema di pensamento originale e, dovendo “pensare” in un mondo non tuo, solo una minoranza corre il rischio di avere davvero delle idee!

Sta per uscire il nuovo iPhone. Leggo (e dire che la Apple aveva finora felicemente resistito alla moda imperante del gigantismo!) che quello “piccolo” avrà uno schermo da 4,7 pollici! Ma stiamo tutti impazzendo? Il telefono ormai è quella cosa che non sta in tasca, non si riesce quasi a tenere all'orecchio, che comunque non serve per i contenuti multimediali se non per le emergenze (resta in ogni caso troppo piccolo), ma che quando lo tiri fuori durante la riunione o in metropolitana, di sicuro tutti lo vedono, e ti ammirano! La quintessenza dell’apparire e della sostanziale inutilità!

E sulla stampa, sul web, nei blog, perfino in certe lezioni all’università, ancora c’è chi parla di “tecnologia” (per carità, c’è anche quella, e non poca! Ma quanto conta?), senza neppure provare a distinguerla dal marketing!


photo credit: <a href="https://www.flickr.com/photos/gpadjp/4613000379/">GPA-djp</a> via <a href="http://photopin.com">photopin</a> <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/">cc</a>

lunedì 25 agosto 2014

Scenari di scuola digitale: il pc divergente e il tablet convergente?

Prima di tornare nell’agone educativo, pedagogico e mediatico del nuovo anno scolastico (che si svolge a cavallo dei due anni solari, se qualcuno avesse informato la ministra Fornero!), sto ripassando un po’ di teoria.
Viviamo nel paradosso che, dopo decenni di studi di ad altissimo livello sull’età evolutiva, l’apprendimento, la conoscenza, comprovati da innumerevoli esperienze, quando si fa una “riforma della scuola”, non solo in Italia, (sono curioso comunque di vedere adesso, sperando di aver capito male certe “scoperte” ministeriali delle scorse settimane, che cosa si inventerà il governo Renzi!), i politici di turno regolarmente sembrano applicare per lo più criteri che si rifanno a un trito e tradizionale senso comune (come quel noto “costituzionalista” che si preoccupava di ciò che gli insegnanti comunisti inculcano nei nostri poveri bambini!). Al punto che il libro collettivo a cui ho partecipato l’altr’anno in America con “La Scuola che Funziona”, a sottolineare la marginalità delle posizioni scientificamente informate in campo educativo, faceva parte di un progetto chiamato “Gocce nel mare”!
Leggere, documentarsi dunque, ripensare, se possibile…

In un ebook dal titolo evocativo, A scuola con il Tetris, di Edyta Slomka , trovo una sintesi semplice ma efficace del perché il personal computer potrebbe rappresentare una novità rivoluzionaria nel panorama educativo. Non si parte una volta tanto dalla confusione oggi imperante tra tecnologia e mercato, ma più seriamente dai modi in cui l’essere umano impara le cose. In pratica, nella tradizionale dicotomia tra l’apprendimento senso motorio (proprio del bambino piccolo, ma tipico per es. anche della bottega artigiana, che si svolge nella vita reale, immediato, permanente, ma limitato all’esperienza personale diretta) e l’apprendimento simbolico ricostruttivo (come a scuola, o attraverso la lettura e i media, potenzialmente vastissimo, ma difficile da memorizzare e ordinare, perché si svolge principalmente nella mente), il personal computer, con le sue capacità di simulazione e risposta interattiva, stabilisce un possibile collegamento.  Le due forme di apprendimento cioè, attraverso un uso attivo e consapevole della macchine digitali di oggi (nelle loro varie manifestazioni, inclusi i videogiochi) possono realizzarsi insieme, spalancando orizzonti prima impensabili alla conoscenza, alla sua condivisione, alla riflessione collettiva su come si conosce.
Osserva l’autrice: «Con il computer si apre per la prima volta la strada per poter integrare la percezione e l’azione».  «Il computer diviene una potente macchina metacognitiva che consente al bambino di riflettere e conoscere i suoi processi mentali e le strategie più adeguate a ciascuno».
Cosa non da poco, in un momento storico e culturale in cui, in presenza di un sapere che si rinnova a una velocità vorticosa, “imparare a imparare” diventa una condizione essenziale di alfabetizzazione, nella società dell’informazione e della conoscenza.

Certo, macchine che in modo così esplicito propongono il passaggio da un sistema educativo basato tuttora principalmente sulla trasmissione di contenuti a un altro che fa perno sulla metacognizione, mettono anche paura. E forse varrebbe la pena di domandarsi come mai nella scuola, dopo decenni in cui i personal computer sono stati ammessi con grande fatica, per lo più segregati in luoghi in cui non potessero fare danni, come le aule informatiche, a un certo punto, anche tra molti refrattari tecnologici, siano sorti tanti cori entusiasti all’apparire di LIM e tablet, a cantare unanimi l’indispensabile “digitalizzazione”. Forse perché finalmente molti vi riconoscevano, rivisitati ed elettronici ma comunque ancora presenti e rassicuranti, il libro e la lavagna?

Come a dire che allora in fondo, si tratta soltanto di imparare un nuovo modo e aggiornato di fare lezione!


photo credit: <a href="https://www.flickr.com/photos/neilvagechen/1047124112/">ne!l chen</a> via <a href="http://photopin.com">photopin</a> <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/">cc</a>

giovedì 14 agosto 2014

Il Gufo, il Sasso, il Tangram (poi quel suicidio che nessuno si aspettava)



Vecchia Gufa guarda con quei suoi occhi grandi, dalla voliera dove il destino l’ha portata a trascorrere i suoi anni, in compagnia del suo vecchio gufo, perché fuori nel monte e nel parco non sarebbero capaci di sopravvivere. Fuori il Dentedel Lupo e le altre cime cambiano più volte di colore nel corso del giorno, da argento pallido a rosso vivo, e oggi c’è anche la luna piena. Bellissimo! La Scuola Verde e il Museodelle Acque nel parco del Gran Sasso sono stati quella che se fossi famoso e rilasciassi interviste, probabilmente definirei una “esperienza straordinaria” (oddio!), tra attività e persone che ho avuto il piacere di incontrare, per fortuna ma anche e soprattutto per scelta.

Il Piccolo Sasso che Jörg ha incominciato a scolpire in realtà peserà una tonnellata e mezza, roccia mista ricca di vene che un colpo sbagliato di scalpello la potrebbe mandare in frantumi. Me ne sono partito verso casa quando, girando dietro il sasso e attraversando la nuvola di polvere, la prima impronta della mano dello scultore lasciava già intravedere un’anteprima del possibile risultato. Vedrò le fotografie, il video che stanno girando, con la vecchia e poderosa videocamera professionale e una minuscola sbeffeggiante actioncam 4 K.

Sul treno la signora a fianco, che prima della partenza ha conversato a lungo nel linguaggio dei muti attraverso il finestrino con un’altra signora che la accompagnava, sprofonda per tutta la durata del viaggio nei videogiochi del suo iPad, e io che, sarà per la leggerezza e comodità dell’aggeggio, sarà per le offerte speciali, molto di recente mi sono convertito pur io al tablet da viaggio, prima mi ci leggo un libro e poi provo a districarmi nelle infinite combinazioni del Tangram.

Il punto di vista! A parte la geometria e la matematica, questo eccezionale concentrato di sapienza in 7 pezzi (prodotto non a caso di secoli di umano pensiero, e non della moda sugli scaffali di un supermercato, per “rivoluzioni” acclamate ogni sei mesi, meditate gente, meditate!) è una forte metafora per chi ci gioca di come davvero il mondo di ognuno in molti casi può cambiare, a seconda di come siamo capaci noi di cambiare il nostro punto di vista. I pezzi vanno osservati, immaginati, spostati, accomodati, e la figura prima impossibile diventa come d’incanto semplice ed evidente. Meraviglia della mente!

Durante il viaggio, per telefono, apprendo del suicidiodi Robin Williams. Non spendo qui tante parole, prendo quasi a caso dalla rete emozionie pensieri che posso fare miei, ma penso a quella brutta bestia della depressione, che colpisce anche chi dà un’immagine di sé (in questo caso non tanto nei film, quanto nelle apparizioni pubbliche, in televisione nei talk show, ambienti che potrebbero essere più “veri”) che davvero non te la farebbe immaginare. Depressione – non importa se stai bene o male con la salute, il lavoro, l’amore, in un mondo in cui spesso sembra che solo alla stupidità e all’arroganza sia concesso di camminare soddisfatte a testa alta – è probabilmente proprio quando non riesci più a cambiare il tuo punto di vista, quando la realtà diventa una pietra che ti convinci irrimediabilmente che non puoi e non potrai più scolpire…   



mercoledì 6 agosto 2014

Riepilogo d’agosto (e l’informatica della lumaca)

Il mito della velocità è una vecchia idea futurista che ha cent’anni, legata a un “futuro” di macchine immaginate molto prima che, negli anni Settanta del secolo scorso, ad alcuni ragazzi venisse in mente di mettere un microprocessore dentro in una scatola. L’invenzione collettiva e condivisa del personal computer rischiava di scombinare una fantascienza immanente e autoritaria, di cervelloni artificiali ambivalenti che da una parte schiacciando un bottone risolvono per noi qualsiasi cosa e dall’altra spiano ogni istante della nostra vita, avviluppandoci inesorabilmente nella rete gestita da un Grande Fratello inconoscibile. C’era un che di anacronisticamente democratico nei computer personali, così come nel web
che nasceva dal basso,  per “aiutare la gente a lavorare”, prima che diventasse principalmente un sistematico veicolo di pubblicità: il rischio concreto era che le persone capissero che, utilizzando in modo appropriato e cosciente certi mezzi, avrebbero potuto prendere il controllo della società dell’informazione, crescere protagonisti e cittadini attivi e non solo consumatori in balia del marketing

Approfitto della pause d’agosto per mettere un po’ d’ordine: le carte sempre troppe, sempre da mettere in qualche modo in ordine o da buttare; gli archivi digitali, anche loro irrimediabilmente affastellati, per poca cura o per fretta, divisi tra troppe memorie e dispositivi, pc, telefono, tablet, dischi rigidi esterni che fanno fatica ad andare d’accordo tra loro (fortuna che uso le chiavette esclusivamente per le copie, e il cloud solo per condividere e non per archiviare!); e poi le macchine, l’amplificatore AV con tutte le sue connessioni da riconoscere e ricordare, i collegamenti con gli schermi, il pc tower, i lettori di dischi, i registratori audio e video con le loro cassette obsolete ma piene di cose che non è che siccome la tecnologia è cambiata posso fare finta che non siano mai esistite…

C’è l’hardware a questo mondo, c’è il software, su cui si concentra gran parte dell’attenzione degli umani, che non a caso per la maggior parte non ci capiscono una cippa, di hardware come si software. E poi ci sono le immagini, i suoni, i testi, le parole, il pensiero e la vita delle persone, che una malintesa idea “futurista” (oggi la chiamano “digitale”, ma quanto sa comunque di vecchio!) vorrebbe validi solo se appoggiati sull’ultimo supporto di moda. Che oggi poi significa consegnati, nella “nuvola”, nelle mani di amorevoli imprese multinazionali che li amministrano per noi.
Mentre il pianeta usa e getta, che ha memoria solo di quanto stabilisce il dio Mercato, vede un rincorrersi di crisi economiche, politiche, sociali, ambientali senza precedenza e, nella ridondanza assoluta di mezzi di (teorica) comunicazione, assiste impotente a una difficoltà ancora più assoluta di comunicazione reale tra gli umani, singoli e gruppi, e al trionfo di individualismo, intolleranza, fanatismo, integralismo.

Metto dunque queste quattro considerazioni nel blog e torno, passin passetto, alle mie carte e ai miei aggeggi. Ho libera una connessione component video tra l’amplificatore e il monitor, che mi potrebbe servire per vederci i contenuti analogici. Dunque, dove posso andarlo a cercare oggi un cavo component video?…

sabato 21 giugno 2014

Immagini video di un giovane merlo

Il giovane merlo chiama dall’alto del cespuglio. E’ fermo lì da un po’, immobile, come gli adulti della sua specie non fanno. In quella posizione non corre particolari rischi, anche se nei paraggi si potrebbe aggirare un gatto pacioccone e coccolone, che in certi giorni però già abbiamo visto trasformarsi in uno spietato serial killer: lucertole, passerotti, merli appunto, fino all’ultima non completata impresa contro un piccione, con gande spargimento di piume per tutto il giardino!
Con il merlotto così ostinatamente in posa, vale la pena di recuperare la videocamera, e anche il cavalletto, per provare una volta tanto a fare una ripresa come si deve, se mi ricordo come si fa. Oltre quella sindrome del riprendo tutto, non importa se in fretta e male, che segna gran parte della produzione multimediale diciamo così “di base”. E così la rete si riempie di uno sproposito di piani sequenza video ottenuti in equilibrio precario, con smartphones e iPad vari, e che poi – ammettiamolo - ci vuole un certo coraggio per riguardare, anche quando, con un pochino di attenzione e di metodo in più, avremmo potuto realizzare qualcosa di decente.

Non è un rinoceronte nero, un bue muschiato, una tigre del Bengala, ma anche il giovane merlo va ripreso comunque da lontano, per non disturbarlo e non farlo scappare. Dopo le prime scene d’assaggio, gli giro intorno e trovo un'altra posizione dove piazzare il cavalletto, per variare il punto di vista. Sono queste due piccole cose infatti, le inquadrature ferme e i diversi punti di vista, che fanno la differenza tra un video invedibile e uno buono. I bambini, quando glielo hai fatto notare una volta, non se lo dimenticano più. Mentre alla maggior parte degli allegri possessori di dispositivi video di ogni risma (video e fotocamere, telefonini, tablet, console da videogiochi portatili ecc.), probabilmente nessuno lo ha mai detto. E’ come scrivere libri, senza sapere che esistono i punti e le virgole!


Un problema oggi per me è il sole. Nonostante i 3 pollici e mezzo e l’ottima definizione, nel display a cristalli liquidi, non si vede praticamente niente e bisogna guardare dal mirino. Una volta, tutte le videocamere, anche dopo l’adozione standard del piccolo schermo lcd esterno, avevano anche un mirino, comodo e orientabile, mentre da qualche anno lo mettono solo nei modelli di fascia alta, alle soglie del professionale. che nei supermercati tecnologici è praticamente estinta (tanto i video oggi tutti li fanno con le reflex, ti spiega il commesso!). Nel mio caso il mirino dà una immagine magari bella e definita, ma è talmente “essenziale” che fai una fatica bestia a guardarci dentro. Nobbuono, anzi, netto regresso!
Poi, in un ambiente di foglie e rametti. serve la messa a fuoco manuale, quella vera, con la rotellina sull’obiettivo, che praticamente da quando esistono le videocamere digitali la trovi solo sui modelli di punta, e nemmeno di tutte le marche. E in questo la tecnologia di oggi invece ci dà una mano consistente, con la messa a fuoco manuale assistita, che soccorre luminosità problematiche e carenza di diottrie, nel mio caso “colorando” le zone a fuoco in modo in modo che, se i puntini blu stanno sull’occhietto semichiuso del merlotto, anche se non vedo una mazza so che l’immagine sarà a posto!

Alla fine, sono 5 minuti video abbastanza quotidiani, e forse per questo educativamente e didatticamente più interessanti, di un piccolo di merlo (piccolo si fa per dire, è più grande lui del maschio nero che a un certo punto si intravedere sullo sfondo!), che ancora ha bisogno di perdere un po’ di piume infantili e di una guida adulta per poter muovere i suoi primi svolazzi nel mondo. Nel sonoro, a parte qualche rumore di traffico sullo sfondo e a un certo punto anche un aereo, in primo piano sono le loro voci, gli strilli e i gorgheggi del “piccolo” (ottimi, lo zoom audio funziona!) e i canti più articolati e intonati di tutta la universa comunità dei merli!
Dopo che ho lasciato il campo libero, il merlotto riappisolato sul cespuglio, si è vista una femmina saltellare nel vialetto. Forse la mamma, che era tornata a riprenderselo?

lunedì 2 giugno 2014

Il falso calabrone in fuga

C’è una cosa che ripeto spesso: una cosa bella di questo tempo presente è che, quando si è lì che sembra di non riuscire a dipanare la matassa delle cose da fare, troppe e troppo complicate, e incombe il panico, oggi ci si può fermare, staccare, fare assolutamente altro. Quando si riparte, con rinnovata lucidità mentale, abbiamo la possibilità, un tempo negata, di far correre le macchine, i computer, la rete. E non solo si recupera, ma si fa anche meglio! Almeno, così potrebbe essere!
Così, ieri mattina mollo tutti gli arretrati ed esco in bici, per una salita domestica ma vera (con passo tranquillo, ma mi manca ancora l’ultimo chilometro!)
Nel pomeriggio, lavoro un po’ e poi di nuovo fuori, a piedi, nelle aree verdi intorno a casa, a vedere se riesco a catturare qualche immagine in solitaria (cioè, non con i bambini, che sono meravigliosi e trovano davvero di tutto, ma è un tantino faticoso!).
Sono lì che mi sto districando tra cimici con la maglietta del Milan e altre dalle antenne nodose e robuste, api vere e “travestite”, quando vedo questa bestia enorme con il becco giallo da calabrone, che però assolutamente non è un calabrone!
Sarà la mia familiarità molto tardiva con i piccoli animali, sarà che sono abituato all’entusiasmo dei bambini, ma io in questi casi un po’ mi emoziono!  Riesco a fotografare da lontano, poi un po’ più da vicino, ma la mosca sirfide in questione è sfuggente, scappa, non resta sui fiori come certe sue colleghe che da vicino si offrono all’obiettivo con relativa facilità.
Sto in appostamento a lungo presso il cespuglio di ombrellifere, la ritrovo, la riperdo sistematicamente, e qui pubblico allora quel poco che sono riuscito a ottenere.
Cerco in rete: “Syrphidae, calabrone, hornet”. Dovrebbe essere una Volucella zonaria, ma imparo che esiste anche una Milesia crabroniformis ancora più inquietante. Interessante!

martedì 13 maggio 2014

Raccontiamoci le favole, educazione ambientale: il video

Ieri lunedì 12 maggio, alla fiera di Padova, durante la Settimanadell’ambiente, presso lo spazio della Regione Veneto è stato proiettato il video Raccontiamoci le favole. Rispetto all’omonimo libro, prodotto da ARPAV, nella copertina del DVD è stato cambiato il sottotitolo: da “Raccolta di favole sull’ambiente” a “Esperienze e scoperte dei bambini”.
Non è una differenza da poco, perché questa volta abbiamo fatto una cosa che spesso non si fa. Cioè, oltre che fornire una pubblicazione con giochi, favole, esercizi, filastrocche, esperimenti, percorsi didattici, siamo andati anche a vedere nelle scuole che cosa succede, come si sono attivate su quei temi le maestre e, soprattutto, come rispondono i bambini. Abbiamo usato il mezzo video per osservare, stimolare, capire, e i bambini della scuola dell’infanzia e del primo ciclo elementare sono diventati loro i protagonisti, davanti ma anche dietro alla videocamera. Hanno giocato, raccontato, immaginato, imparato, si sono emozionati. Si sono anche intervistati a vicenda, a tratti osservandosi negli schermi, protagonisti immediati di una produzione di buona qualità, come i mezzi tecnici di oggi agevolmente consentono, utilizzando la “cultura latente” di noi tutti, popolo televisivo, per convertirla dal consumo passivo in un processo attivo di comunicazione consapevole.
Con il coordinamento del settore Ambiente della Provincia di Treviso e di Edumecom (Centro di Eccellenza per l’Educazione ai Media e alla Comunicazione), tra dicembre e marzo sono entrato in 21 scuole, portando stimoli tratti dalla pubblicazione ARPAV e dalla mia esperienza di animatore ed educatoreambientale, e cercando di far entrare nel video quello che succedeva, con il mezzo “televisione” che raccontava da dentro!
I bambini sono belli, vivi, interessanti, comunicano, e anche ci insegnano, perché il processo educativo non si svolge mai a senso unico, ma è il frutto dell’interazione, della collaborazione tra le persone, e tanto più è efficace quanto più i partecipanti si mettono in gioco. E per i bambini di 5 anni - è intuitivo -mettersi in gioco è semplice e naturale…
Così, bambini e adulti che collaborano, usando il corpo, i materiali, la natura, la tecnologia, con naturalezza, e ci raccontano di ambiente: Acqua, Aria, Biodiversità e natura, Rifiuti, Terra e paesaggio, Suoni e rumori… 

mercoledì 30 aprile 2014

Tra i piccoli abitanti del giardino, immaginando il futuro


Faccio ormai fatica a scrivere di "tecnologia": quella fiera continua del nulla spacciato per innovazione, dove le più belle idee e possibilità degli ultimi quarantanni sono state quasi tutte sepolte sotto una bara di ideologia che di fatto produce quasi solo conformismo, rassegnazione, accettazione supina delle regole del "mercato", e disalfabetizzazione di massa asservito alla burocrazia.
Faccio fatica anche a scrivere di educazione, frequentando – potrei dire, per fortuna – da esterno, una istituzione scuola che da anni pare aver smarrito globalmente il senso della propria funzione sociale, nonostante il lavoro eccellente e misconosciuto di tanti insegnanti, che ci sono e fanno cose egregie e nessuno lo sa, lottando contro i mulini a vento, e nonostante i bambini e i ragazzi, che mai come di questi tempi sono assetati e affamati di educazione, di realtà, di rapporti veri e costruttivi con gli adulti, perché in quel mondo spot in cui li facciamo crescere manca l'aria, manca il senso del come e perché si vive.

Poi – al solito – basta un'uscita  a guardarsi intorno, tra il giardino, gli alberi, i muri, e tutto sembra apparire sotto una prospettiva diversa, semplice, immediata, interessante e viva.

Lo so, sono anni che vado raccontando degli insetti e dei ragni che scopriamo in giardino, e forse per qualcuno rischio anche di essere noioso. 

Al confronto però con altri mantra pure ripetuti da anni e con ben altra potenza e aggressività, al punto che molta gente senza neanche pensarci se ne è convinta e ci crede, queste non sono balle! Non procedo per speculazioni sofistiche che per esempio descrivono un mondo popolato di fantomatici "nativi digitali", per la consolazione di adulti in crisi in cerca di un alibi e la gioia dei venditori di aggeggi tecnologici da imporre al mondo. Dico semplicemente quello che vedo e che sento, e tutte le volte mi stupisco di quanto sia facile, naturale, con i bambini vivere un'esperienza in cui si si riescono, sempre a mettere d'accordo, in un paio d'ore, natura e tecnologia, entusiasmo infantile e verità scientifica, interesse sincero per il mondo reale e divertimento, libri di carta e condivisione di documenti digitali in rete.

Quest'anno la qualità delle immagini raccolte è davvero buona. Mentre le scuole organizzano il materiale dal loro punto di vista, io ho pensato di rilanciare il Museo Vurtuale dei Piccoli Animali con queste gallerie di scoperte sul campo. Poi si riprendono i contatti vecchi e si vanno a cercare quelli nuovi, si rinfresca la memoria ai corrispondenti di tutto il mondo.

La vera novità, la vera possibile rivoluzione del tempo presente – anche questo magari vale la pena di ripeterlo – è che tecnicamente tutti - bambini, adulti, anziani, tutti! - possiamo essere oggi immediatamente produttori di informazione, nella società dell'informazione, a livello planetario! Prenderne coscienza, può trasformarci all'improvviso da consumatori scontenti, isolati e passivi in attori consapevoli e sociali, da competitori arrabbiati in cooperatori soddisfatti. E possiamo provare a immaginare quello che succederebbe se milioni, centinaia di milioni di persone prendessero davvero l'abitudine di condividere e realizzare in rete i propri progetti culturali, sociali, politici, produttivi, oltre le restrizioni d'uso imposte dai regimi, oltre l'attuale gestione privatistica e commerciale da parte di un pugno di multinazionali...

sabato 5 aprile 2014

Il lato semplice delle cose

Sarà che ho appena finito di girare per due mesi come una trottola tra una ventina di scuole dell'infanzia sparse per tutto il Veneto ed è stato bellissimo, ma sento il bisogno di dirlo e di ripeterlo forte: è principalmente osservando e ascoltando i bambini che un educatore impara le cose; sono loro che ci insegnano!

Dato che in passato mi capitato di scrivere, credo anche abbastanza benino, su questi argomenti, riprendo allora alcuni passi dal mio libro del 2009 I bambini e l'ambiente: pagina 31 e 32:

«Autunno. Grigio e nebbioso. Nel giardino della scuola materna l’umidità è forte, punge, la si sente nelle ossa. Un vento gelido scuote le foglie già rade sui rami. Domanda: «Perché tremano le foglie?».
Risposta dei bambini: «Perché hanno freddo!».
Assimilazione, accomodamento, somiglianze, analogie, relazioni.
E forte coinvolgimento affettivo, che aiuta a fissare nella memoria cose che restano, trasformando i dati dei sensi e della cultura attraverso la propria partecipazione attiva ed emotiva di bambini. «Spiegato» a due gruppi diversi, in condizioni diverse, lo stesso giardino, anche per l’adulto che lo «spiega», non sarà lo stesso! E la trasmissione non avverrà a senso unico, perché i bambini, se motivati, amano dire la loro, descrivere con parole, azioni, emozioni la propria conoscenza in atto e, grazie al loro pensiero non ancora strutturato, facilmente si avvicinano alla realtà da punti di vista originali ed efficaci, individuando spesso il "lato semplice".
La bambina di seconda elementare osserva le foglie del gingko e capisce subito che si tratta di un albero "strano". Dice che non sono come quelle degli altri alberi, sono spesse, "assomigliano
a un fungo"...
Per chi non lo sapesse, il gingko è una pianta di cui per lungo tempo si erano conosciuti solo resti fossili: una gimnosperma come le conifere ma a foglie larghe, e comunque ritenuta irrimediabilmente estinta. Poi, come in un racconto fantastico di dinosauri, in una valle remota della Cina ne sono stati trovati esemplari viventi....

Bambini di seconda elementare osservano il cigno che strappa i ciuffi d’erba dalla riva dello stagno e poi li immerge nell'acqua, prima di ingoiarli. Descrivono:
"Prima becca l’erba e poi la bagna!".
"Mangia l’erba morbida!".
Proprio il contrario di quel "sapere" fatto di definizioni esatte, eventualmente già scritte in qualche manuale, o peggio "indovinabili" anche a casaccio (risposta a, b o c?). O di quel girare pedante intorno alle cose che, tra analisi e precisazioni, perde di vista l’insieme.

Bruno Munari, grande maestro nell'individuare il lato semplice delle cose, aveva suggerito per gli alberi l’idea forte della ramificazione: da un ramo più grosso se ne originano sempre due più piccoli, e via così, a piacere. Idea utile non solo per disegnare qualsiasi albero, ma per pensarlo, immaginarlo, capirlo».