Il mito della velocità è una vecchia idea futurista
che ha cent’anni, legata a un “futuro” di macchine immaginate molto prima
che, negli anni Settanta del secolo scorso, ad alcuni ragazzi venisse in mente
di mettere un
microprocessore dentro in una scatola. L’invenzione collettiva e condivisa
del personal computer rischiava di scombinare una fantascienza
immanente e autoritaria, di cervelloni artificiali ambivalenti che da una
parte schiacciando un bottone risolvono per noi qualsiasi cosa e dall’altra spiano
ogni istante della nostra vita, avviluppandoci inesorabilmente nella rete
gestita da un Grande
Fratello inconoscibile. C’era un che di anacronisticamente democratico
nei computer personali, così come nel web
che nasceva dal
basso, per “aiutare la gente a lavorare”, prima che diventasse principalmente un sistematico veicolo di pubblicità: il rischio concreto era che le persone capissero che, utilizzando in modo appropriato e cosciente certi mezzi, avrebbero potuto prendere il controllo della società dell’informazione, crescere protagonisti e cittadini attivi e non solo consumatori in balia del marketing…
Approfitto della pause d’agosto per mettere un po’ d’ordine: le carte sempre troppe, sempre da mettere in qualche modo in ordine o da buttare; gli archivi digitali, anche loro irrimediabilmente affastellati, per poca cura o per fretta, divisi tra troppe memorie e dispositivi, pc, telefono, tablet, dischi rigidi esterni che fanno fatica ad andare d’accordo tra loro (fortuna che uso le chiavette esclusivamente per le copie, e il cloud solo per condividere e non per archiviare!); e poi le macchine, l’amplificatore AV con tutte le sue connessioni da riconoscere e ricordare, i collegamenti con gli schermi, il pc tower, i lettori di dischi, i registratori audio e video con le loro cassette obsolete ma piene di cose che non è che siccome la tecnologia è cambiata posso fare finta che non siano mai esistite…
C’è l’hardware a questo mondo, c’è il software,
su cui si concentra gran parte dell’attenzione degli umani, che non a caso per
la maggior parte non ci capiscono una cippa, di hardware come si software. E
poi ci sono le immagini, i suoni, i testi, le parole, il pensiero e la vita
delle persone, che una malintesa idea “futurista” (oggi la chiamano “digitale”,
ma quanto sa comunque di vecchio!) vorrebbe validi solo se appoggiati sull’ultimo
supporto di moda. Che oggi poi significa consegnati, nella “nuvola”,
nelle mani di amorevoli imprese multinazionali che li amministrano per noi.
Mentre il pianeta usa e getta, che ha memoria
solo di quanto stabilisce il dio Mercato, vede un rincorrersi di crisi economiche,
politiche, sociali, ambientali senza precedenza e, nella ridondanza assoluta di
mezzi di (teorica) comunicazione, assiste impotente a una difficoltà ancora più
assoluta di comunicazione reale tra gli umani, singoli e gruppi, e al trionfo
di individualismo, intolleranza, fanatismo, integralismo.
Metto dunque queste quattro considerazioni nel
blog e torno, passin passetto, alle mie carte e ai miei aggeggi. Ho libera una
connessione component
video tra l’amplificatore e il monitor, che mi potrebbe servire per vederci
i contenuti analogici. Dunque, dove posso andarlo a cercare oggi un cavo
component video?…
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