Forse un giorno, se da un gradino superiore
della storia qualcuno sarà in grado di dare un giudizio sulla nostra epoca,
parole ricorreranno come dispersione, spreco, occasioni
perdute.
Evitiamo di ripetere i soliti discorsi sulla disponibilità ipertrofica di risorse tecnologiche da cui siamo sommersi, che ogni pochi
mesi si rinnovano, si moltiplicano, si rottamano, col risultato che in realtà non
impariamo mai a usare niente e la nostra vita non solo non si arricchisce e non
migliora, ma si appiattisce in un sempre più passivo seguire la corrente del
consumo, unica possibile soluzione all’impossibilità di tenere dietro al
vortice di apparenze che ci abbaglia.
Evitiamo anche i discorsi sulla retorica e l’ideologia
integralista della “fine delle ideologie”, dove il pensiero dominante unico
del “così va il mondo” induce i più a identificare l’attuale fallimentare e
agonico sistema di mercato come l’ordine naturale delle cose, fuori da
qualsiasi prospettiva storica e da qualsiasi ragionamento critico.
Quello che spesso oggi manca in modo
devastante, quando si cerca di costruire qualcosa, è la considerazione
vera del pensiero degli altri. Cioè, quel condividere idee e opinioni in
più di una persona, in modo che a un certo punto ne risultino altre idee e
altre opinioni, che non diano solo una somma, ma una sintesi superiore
in cui le persone che a quella elaborazione hanno partecipato si possano
riconoscere con soddisfazione.
È ciò che di solito non succede nei convegni
e nei festival, che sono per lo più passerelle, vetrine, in cui
non c’è mai il tempo per parlare veramente con gli altri.
Anche in rete, tantissimi comunicano le
cose che pensano e che fanno, utilissime, bellissime. Le espongono come
sugli scaffali di un supermercato planetario, e lì raccolgono consensi e
critiche, polemiche accese e tantissimi “mi piace” (che sembra il
massimo del “successo”!). A volte si crea l’occasione per dibattiti accesi e
momentaneamente vivacissimi, che regolarmente non lasciano segno alcuno, e la
volta dopo si ricomincia da capo.
Ma pochissimo è lo spazio in rete dove si
osservano storie che crescono, o si sviluppano progetti che, oltre il gran
darsi da fare dei singoli, o dei gruppi già strutturati, richiedano un impegno
comune, una assunzione di responsabilità collettiva per inventare insieme qualcosa
di nuovo, quello che manca, quello di cui tutti si lamentano che non c’è.
Per imprese di questo tipo, generalmente “non c’è tempo”! Ma se passi metà
della tua vita a pubblicare su facebook?
Inutile! Per fare davvero i conti con il
pensiero degli altri, oltre i “selfie” e la ricerca anche platonica di
consensi, non c’è tempo (pure se il tempo potrebbe essere poco e potremmo sceglierlo noi) e non c’è modo, a prescindere!
Forse è un interiorizzato e profondo senso
della competizione, per cui gli altri sono visti comunque come pericolosi
concorrenti; forse è il risultato di delusioni personali e collettive,
quando il mondo sembra scivolare in una direzione tanto diversa da quella che
vorremmo, e allora proseguire soli e sconfitti è quasi una consolazione; forse
ci ha estenuato la rincorsa al troppo veloce “progresso” tecnologico, di cui
fatichiamo a cogliere il senso (e infatti, complessivamente, non ha un senso, o
meglio, lo avrebbe se non fosse prevalentemente orientato al marketing!)
Se fossi uno di quelli che credono che la
storia a un certo punto, quando noi siamo stanchi, si ferma, direi e forse
scriverei: «Hanno vinto loro!»
Ma la storia va avanti, indipendentemente
dal nostro impegno o opinione, e come sarà domani dipende anche dai pensieri e,
soprattutto, dalle azioni di ognuno di noi.
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