L’umanità dell’informazione al bivio tra conformismo acritico e intolleranza o consapevolezza e responsabilità
3. Il ristagno del pensiero e lo spreco dell’informazione diffusa
C’è un aspetto di questi tempi su cui a mio parere non si riflette abbastanza.
Cioè, io adesso qui sto cercando di mettere insieme un mio piccolo ragionamento sul mondo che si svolge in più capitoli, da pubblicare prima in pezzi su un blog e poi tutto insieme in uno spazio più adatto. Qualcuno lo leggerà, arriverà qualche apprezzamento, forse commenti, difficilmente critiche, anche da parte di chi non è per niente d’accordo. Succede quasi sempre così. Pure quando amici, parenti e colleghi si affollano attorno a un libro appena uscito, rispondendo in massa alle mailing list, o riempiendo di “mi piace” i social network, oltre ai complimenti e le felicitazioni di rito, difficilmente troveremo qualcuno che parla davvero di quello che sul libro c’è scritto.
Eppure, forse l’intento di chi scrive libri sul mondo, di alcuni di loro almeno, non è solo farsi belli con un titolo in più nel loro catalogo, ma sviluppare idee che servono per capire, stimolare, in certi casi provare a spiegare e, dato che la storia del pensiero umano ci insegna che non ci sono mai idee definitive, se le idee stesse restano lì e non vengono accolte, discusse, corrette, sviluppate da altri, il pensiero non va avanti non influenza la vita delle persone e delle società.
Scuola primaria Arici, Brescia 2002, classe IIa disegno al computer: Gola! |
Oggi, il proliferare di credenze irrazionali e fantasiose, l’aumento delle schiere di complottisti, terrapiattisti, integralisti di ogni stampo in fatto di religione, politica, alimentazione, appare la faccia disarmante di una overdose di produzione e informazione culturale il cui impatto sulla società non dipende dalla eventuale qualità, ma dall’esposizione mediatica, in un momento storico in cui i media stessi sono scossi da una “crisi di identità” senza precedenti.
Prima c’è stato quello che potremmo definire un passaggio intermedio, fondamentale e che ha segnato e segnerà molte generazioni, in cui l’informazione di massa si è spettacolarizzata e commercializzata in modo da rendere la narrazione della realtà, sulla stampa, in radio, in televisione più importante della realtà stessa. Si potrebbe definire con termine anche troppo elegante meta informazione, per cui attorno a un fatto e alla sua iniziale discussione, un’altra discussione ne consegue e altre ancora, fino a che a forza di parole su parole – ancora e soprattutto parole, anche nella società dell’immagine e di internet! - amplificate e moltiplicate dai media, il tutto si riduce a un chiacchiericcio compiaciuto tra addetti ai lavori, spesso molto più attenti al proprio ruolo e alla loro immagine che non a ciò che sarebbero chiamati a spiegare, a cui il grande pubblico assiste più con l’emozione che con la ragione, come a un film o a uno spettacolo di varietà. È quello che regolarmente succede in televisione intorno a certi fatti di cronaca, dove la tragedia e il delitto consumati avidamente dai telespettatori diventano passerelle in cui si pavoneggiano opinionisti ed “esperti”.
Con il web, ci sarebbe oggi la possibilità teorica per ognuno di organizzarsi l’informazione in modo libero e indipendente, avendo a disposizione una quantità pressoché illimitata di fonti nonché, magari non individualmente ma organizzandosi in rete secondo modalità evidentemente tutto da scoprire – perché certo gli “esperti” magari hanno qualche idea in più, ma nessuno può sapere davvero come funziona, dato il mezzo è stato appena inventato! - di produrre l’informazione stessa, di fare i giornali, la radio, la televisione, perché ormai siamo tutti “padroni dei mezzi”.
Di questo fatto – vero, unico, indubitabile, rivoluzionario, mai visto nella storia dell’umanità – praticamente non ne parla chiaramente quasi mai nessuno, forse perché comporta un salto culturale e soprattutto una assunzione di responsabilità, e allora i più si rifugiano negli ambienti organizzati e protetti dei social network, in cui si riproducono dinamiche tipicamente televisive come la sostituzione dei dati di ascolto con le visualizzazioni, i “mi piace”, i follower. Qui mettiamo in rete i nostri post, le foto, i video, per lo più senza neanche renderci conto che in questo modo produciamo informazione al cospetto del mondo intero, oppure vedendo in questo essenzialmente la possibilità di essere notati e diventare magari influencer, come in una lotteria in cui in palio c’è sempre comunque un effimero successo individuale nella società dello spettacolo. Il mondo quello vero, il lavoro e il tempo libero, l’amicizia e l’amore, la vita e la morte, la pace e la guerra, crediamo che restino comunque tutto un altro discorso, su cui sui social possiamo solo eventualmente dire la nostra, raccontare, litigare, schierarci, ma comunque non decidere.
E invece la nostra vita reale è influenzata sempre più dalla nostra presenza sui “social”.
Perché anche i media tradizionali, se sei popolare su Facebook, Instagram, Twitter, Tik Tok o qualche altro nuovo network rampante, si sentono in dovere dovere di citarti, omaggiarti, riverirti, ascoltarti, e capita anche che qualcuno incominci a guadagnare soldi, perché sulle piattaforme commerciali conviene alla pubblicità agganciarsi a tuoi post, che attirano una grande quantità di visualizzazioni. E non pochi sono i ragazzini delle medie che da grandi vorrebbero fare gli influencer!
Questi panorami virtuali e fantastici, apparentemente lontano dai sensi, dalle emozioni, dai sentimenti, in realtà fanno opinione, determinano sempre più le scelte politiche, culturali, i rapporti personali. Molti intellettuali, quelli che ci spiegano il mondo, appaiono annaspare come nelle sabbie mobili, incapaci di cogliere il contesto generale e attratti in modo irresistibile, abbagliati da fenomeni forse anche nuovi, ma spesso casuali, provvisori, effimeri, segnali di una confusione presente, che in molte descrizioni vengono scambiati per le anticipazioni di un ineluttabile futuro. Banalmente, dubito che si possa in qualunque modo argomentare per esempio su dove ci stanno portando le macchine, senza tenere presente che oggi macchine di una potenza smisurata sono per la maggior parte maneggiate da analfabeti! Che dire dei “giganti del web”, a volte descritti quasi come entità soprannaturali, quando in realtà sono letteralmente tenuti in piedi dai nostri clic!
Scuola primaria Arici, Brescia 2002, classe IIb disegno al computer: Mare! |
Lo dico e lo scrivo da anni: credo che il problema culturale principale sia mettere d’accordo i libri che abbiamo letto, la televisione che abbiamo guardato, i videogiochi con cui abbiamo fatto esperienza dei mondi virtuali, i social network che addomesticano la Rete per noi, la tecnologia che usiamo tutti i momenti senza saperla usare. E non possiamo farlo se continuiamo a guardare queste cose una per una, come valori assoluti e provvisoriamente definitivi, se ci innamoriamo di definizioni suggestive a cui cerchiamo di dare un senso a partire dalla definizione stessa e non dall’osservazione della realtà. La storia dei “nativi digitali”, per esempio, si è sostenuta per anni praticamente praticamente sillogismi: “Osservo i bambini che fanno questo e quello… e quindi!” Quindi cosa? Il terzo millennio spiegato con il metodo di Aristotele?
Studiare, confrontarsi, capire, con curiosità e soprattutto umiltà.
A proposito, il perché e il come certe comunicazioni acchiappano più di altre in rete, se in partenza non sei una persona già famosa, sono abbastanza imprevedibili. Nel mio piccolo, avendo pubblicato su YouTube una serie di video le cui visualizzazioni per lo più si contano in poche centinaia, in cui ci stanno tante cose di teatro, educazione, natura, musica e altro, nel corso degli anni avevo finalmente sfondato le 20.000 visualizzazioni con il videoclip del Lombrico Joe (musica e canto del mio amico Piero, io ho scritto le parole e montato le immagini) quando a un certo punto tanti hanno incominciato a guardare un minuto di riprese di una grossa ape nera (Xylocopa violacea) che bottinando svolazza tra i fiori di gelsomino. Ormai ci vanno in centinaia ogni giorno, vai un po’ a sapere come e perché!
Caro Paolo, condivido il fastidio nei confronti di un silenzio critico un po' timoroso e un po" leggero da parte chi legge quanto un soggetto come te, o come me, o come uno dei tanti blogger sparsi nella rete scrive per sollecitare reazioni o stimolare incontri e dialoghi. Ma non tutti hanno voglia di esporre pubblicamente la propria opinione, soprattutto su temi complessi come quelli relativi alla nostra capacità di gestire l'esperienza. E' vero che viviamo in un mondo dove le immagini fanno da padrone, ma fortunatamente le parole hanno ancora una loro dignità e sono ciò con cui abbiamo imparato a descrivere l'esperienza che viviamo. Lo fai anche tu scrivendo pezzi come questo. Lo faccio io nel rispondere e lo facciamo ogni giorno, rapportandoci agli altri e al tutto. A me capita di formulare spesso in parole , ad alta voce, il mio pensiero.. lo faccio per sentirlo concreto e per fare ordine in quel flusso di emozioni e sentimenti che continuamente mi attraversano. Lo sai tu e lo so io, e lo sa chiunque. I social sono intimi ad una esperienza che appartiene prevalentemente alle nuove generazioni, e loro si, sembrano sapersi esprimere più con le immagini che con le parole. Forse perché, a differenza di noi, hanno avuto l'occasione di una maggior confidenza. Hanno iniziato da lì. "Vivere in social media " è un po" la loro quotidianità, certamente più di quanto non lo sia per noi della vecchia guardia.
RispondiEliminaI ragazzi oggi articolano questa tecnologia da esperti inconsapevoli o da utenti ignoranti: hai ragione nel lamentare che ci sarebbe tanto da lavorare, che dovremmo contribuire alla loro istruzione, a consentire loro di farne un uso più attento e critico, ma sembra che la velocità del cambiamento abbia creato una sorta di vuoto, un salto che rende difficile la comunicazione. Proprio perché siamo partiti da modi diversi, e continuiamo a partire da quanto abbiamo appreso, qualcosa che, per quanto esteso nei nuovi paradigmi, costituirà sempre la matrice dominante. La nostra diversa dalla loro.
Il trascorrere del tempo determina una diversa capacità percettiva, e quindi espressiva, e inevitabilmente cognitiva. Perché il linguaggio ( che sia in immagini, in parole, in musica o in qualsiasi altra forma possibile) rappresenta un mondo, lo descrive, e così facendo contribuisce a crearlo e a definirlo. Proprio come la tecnologia di cui parli.. è un linguaggio anch'essa. Dietro ci sono le menti, con le loro strutture, parzialmente costitutive e parzialemnte programmate in questo tempo storico fatto di cultura, di morale, di tradizione. Fatto di esperienza. Ma quale esperienza? Credo davvero che noi tutti abitiamo mondi paralleli, fatti dal nostro "incontro quotidiano con il reale". Come dire: siamo insieme, ma la mia percezione è necessariamente diversa dalla tua e questo perché ognuno ha una sua storia. Questo ci colloca in posizioni virtualmente ma realmente diverse.
Questo mio discorso non è una giustificazione al non fare, ma uno sprone al fare che invoca pazienza e richiede attenzione. Ho imparato che per poter chiedere e' necessario saper ascoltare. E noi, questo nostro presente, lo ascoltiamo poco, lasciandoci sommergere da un mare di imput che ci sfiniscono, cui non sappiamo star dietro. Si cenndono tanti lumini attraenti, ma per potsrli raggiungere nel modo opportuno e richiesto molto più impegno di quanto non ci fanno sembrare. E i nostri giovani, oggi, mi spiace diverso dire, non sono più avvezzi a sforzarsi. Hanno imparato a correre velocemente da una stazione ad un'altra, a "surfare", senza mai avere il tempo di scendere giù a scrutare il fondale. E a forza di andare col vento si è creata una brutta abitudine che ha assjnto una posizione primaria. Un modo che, purtroppo, hanno acquisito anche molti di noi anziani.
D'altronde, come usava dire un carissimo amico, se diluvia forte, non sarà sufficiente un ombrello a impedirti di uscirne bagnato...
Ti abbraccio
Grazie Marina!
EliminaLavorando io però proprio con i bambini e i ragazzi, ti posso assicurare che la differenza di stili cognitivi è assolutamente sopravvalutata. Le diverse modalità di approccio alle nuove tecnologie (sempre che si possano riferire davvero alle fasce di età e non piuttosto alle persone, e che riguardino davvero la tecnologia più che non per esempio il cibo o le relazioni umane)non impediscono oggi anzi una comunicazione tra le generazioni più immediata e diretta che in passato perché, a differenza per esempio che negli anni 70 del secolo scorso, tutti condividiamo la stessa (non) cultura di base. Non è che ci aiuti molto, ma se c'è un 90% che ci unisce, pare folle enfatizzare quel 10% che - e a ben guardare neanche tanto - forse ci divide.
Credo che dovremmo semplicemente partire da un unico fatto fondamentale, di cui di solito ci dimentichiamo (troppo facile?), che tutti siamo umani!
È bello questo discorso che fai Paolo. chissà perché nessuno ne parla di questo
RispondiElimina"overdose" di informazioni come giustamente lo chiami tu. Siamo sopraffatti da tutto ciò che ci arriva dalla rete, Google, e "social", etc. Non sappiamo come gestirla, ne come spiegarlo ai più giovani. Ci è arrivato troppo all'improvviso, questa tsunami di informazioni di dimensioni "disumane" nella quale ci sentiamo di affogare. Mentre prima volevamo più acqua, ora ne abbiamo troppa, e a volte nel girare troppo attorno, ci perdiamo anche a noi stessi ;)
Fruzan, è per questo che io guardo soprattutto ai bambini. Loro sono aperti a tutto, ai sensi, alla natura, alla tecnologia, e hanno una naturale capacità di mettere ogni cosa al loro posto, senza artificiosi contrasti tra natura e cultura, corpo e macchine, senza farsi sommergere dal "troppo". E oggi, potendo usare in prima persona una tecnologia ormai facilissima, avrebbero anche la possibilità di produrre in buona parte la loro informazione, e insegnare a tutti tante cose. Ma qui si aprono altri capitoli complicati e un po' tristi, su cui comunque ho scritto e scriverò ancora qui, e con pezzi più brevi sulla mia rubrica in "sapereambiente.it"
EliminaLa sfida è oggi costruire un nuovo modo di conoscere e di produrre insieme, collettivo e condiviso, mettendo d'accordo tecnologia e natura, oltre il disastro di una società che ha esasperato i consumi fino a consumare se stessa. Non a caso i pionieri del vero "digitale" parlavano della Nuova Accademia, che è tecnicamente possibile. Se ognuno ci mette un pochino del suo, insieme...
Che intendi per condivisione di una non cultura di base? Ognuno di noi ha una sua cultura:è ciò che ci differenzia e specifica, ciò che ci spinge a capire l'altro o a ignorarlo.... che vuoi dire?
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