L’umanità dell’informazione al bivio tra conformismo acritico e intolleranza o consapevolezza e responsabilità
1. Prologo: ascoltare e capire il disagio. L’involuzione tecnologica.
Non è sano rassegnarsi al disagio.
Personalmente, nella fase ormai discendente della mia non breve presenza su questo pianeta, l’esperienza mi suggerisce di non sottovalutare il disagio, nelle relazioni pubbliche come in quelle personali. E, senza unirmi alla schiera di quegli intellettuali che, partendo da situazioni loro, oggi si ritengono autorizzati a pontificare su tutto, compreso quello di cui non sanno quasi nulla, semplicemente inizio questo mio ragionamento condividendo un punto di vista. Sarebbe poi bello se ciò innescasse una discussione, uno scambio di idee, in cui esperienze diverse si confrontano, si modificano vicendevolmente, e magari alla fine convergono verso un percorso comune per crescere insieme.
Scuola primaria Arici, Brescia 2002, classe IIa disegno al computer |
Spendiamo fiumi e oceani di parole a descrivere per esempio quello la tecnologia ci permetterebbe di fare, e poi ragioniamo pochissimo su quello che effettivamente si fa, e ancor meno alla fine personalmente facciamo. Usiamo ogni giorno mezzi incredibilmente potenti di interazione, condivisione, vera e propria produzione di informazione della società detta dell’informazione, per un’infima frazione delle loro potenzialità, e questo nostro incerto balbettio individualistico, consumistico, condizionato in modo pesantissimo da decenni d assuefazione alla passività televisiva, lo scambiamo per il “futuro” verso cui ci starebbe portando la tecnologia. Peggio ancora, è ormai la somma di miliardi dei nostri balbettii in rete che determina le aspettative di qualità nella comunicazione globale, al punto che oggi sempre più anche le TV professionali si adeguano ai social network, in un precipizio generale di rumore, confusione, pressapochismo.
Scuola primaria Arici, Brescia 2002, classe IIa disegno a mano |
2. Sostituire e togliere non è mai inclusivo. Il “politicamente corretto” che divide
La scena è paradossale. Si stabilisce – o si suppone, perché spesso non è neanche vero - che alcune cose, leggi, terminologie, usanze, siano discriminanti rispetto al genere, all’orientamento religioso, politico, sessuale di qualcuno, in particolare delle minoranze, e allora si adottano soluzioni che di fatto mettono a disagio la maggioranza. Chi davvero in coscienza ci trova un senso e pensa sinceramente che serva a migliorarci, alzi la mano!
Siamo talmente condizionati da una cultura della esclusione intollerante e tendenzialmente integralista, che spesso pratichiamo la cosiddetta “inclusione” in modo da provocare sostanzialmente ulteriori divisioni, conflitti, discriminazioni, non cercando nemmeno e ovviamente non vedendo soluzioni eventualmente possibili davvero inclusive, che uscendo dalla logica degli schieramenti e delle contrapposizione probabilmente si potrebbero trovare con relativa facilità.
Qualche esempio, tra quelli che hanno provocato discussioni.
Siccome viviamo in società laiche, si parla o si decide di proibire nei luoghi pubblici l’ostentazione di simboli religiosi, mettendo però poi insieme in un delirio di confusione il crocifisso appeso alla parete di un’aula scolastica (ufficiale, istituzionale, quindi forse potenzialmente davvero divisivo per chi non condivide) con il velo islamico delle studentesse (personale, attinente alla sfera delle libertà individuali di espressione, che non si capisce come e perché dovrebbe “offendere” qualcuno).
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Ancora, si propone nei documenti di sostituire “mamma e papà” con “genitore 1 e genitore 2”, per non discriminare più altre possibili forme di famiglia, come quelle omosessuali, la cui esistenza riconosciuta è considerata un passo avanti per i diritti civili di tutti. Con questo però si impone un cambiamento che può suonare come una negazione della famiglia com’era intesa finora, uno schiaffo al senso comune, alle tradizioni, alle convinzioni religiose diffuse. Non si elimina affatto la discriminazione, ma la si rovescia e la si amplifica, innescando conflitti divisivi inutili e controproducenti.
Potrebbe bastare in questo caso, per esempio, scrivere sul modulo qualcosa come: “mamma/genitore 1, papà/genitore 2”. A parte la sorpresa iniziale e un certa ridondanza, per chi non cerchi divisioni a tutti i costi, questa formula "affiancata" è accettabile da tutti: si salvaguardano i ruoli familiari tradizionali e più comuni, aggiungendo lo spazio per situazioni diverse. Nessuno impone il suo punto di vista a nessun altro e semplicemente ci si abitua dopo un po' a una terminologia più aperta e in questo caso sì inclusiva, che aggiunge, non sostituisce.
Poi, personalmente in me (e in moltissimi altri, anche se spesso non lo dicono) provoca un forte fastidio leggere - come alcuni usano da qualche tempo - sostituite negli scritti le desinenze di genere con asterischi o, peggio ancora, con caratteri dedicati, come nel sistema “schwa”, per cui addirittura si ricorre a segni speciali che ti fanno impazzire sulla tastiera (cioè, per essere inclusivi, tutto il mondo si dovrebbe riadattare!) A parte la sua sostanziale impraticabilità in modo coerente e completo all’interno della frasi (e ?i* articol*, il lo la i gli le?), la cosa immediatamente non regge con parole il cui genere non è dato solo dalla desinenza e per cui la discriminazione immediatamente si ripropone.
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Nella scrittura poi, applicando schwa o asterischi "inclusivi" ci si sottopone di fatto a una sorta di supervisione dall’esterno, di auto censura di parole e pensiero, di conversione continua dal modo come abbiamo imparato a parlare e a scrivere in un altro che di continuo politicamente ci corregge. Ma il mondo e la vita non sono già abbastanza complicati? E aggiungere ulteriori elementi di stress perfino nell’atto banale e quotidiano di scrivere e leggere, davvero ci fa incamminare lungo la strada dell’inclusione, o non piuttosto aumenta il disagio quotidiano complessivo, la sensazione diffusa e a volte esagerata di non essere noi i padroni della nostra vita, e quindi la frustrazione, l’irritabilità, l’insofferenza, la violenza non solo latente che, oltre il perbenismo e i formalismi, nelle nostre società appare in aumento costante proprio nei confronti delle donne? Con buon pace degli asterischi, delle quote rosa e delle altre forzature artificiose con cui ci si affanna a correggere la tradizionale disparità tra i sessi.
In generale, la mia umile opinione è che sovrapporre in modo pedante e invadente - mi si perdoni, ma provi a rifletterci, chi di queste cose si compiace - sempre più regole a tanta parte delle nostre vite, non aumenta la qualità delle relazioni tra le persone, i sessi, i gruppi sociali, le etnie, ma possibilmente le deteriora ulteriormente. E mentre aggiungere può essere - magari non sempre - inclusivo, sostituire, togliere, vietare, prescrivere, il più delle volte provoca solo nuove divisioni, discriminazioni, conflitti.
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