martedì 19 febbraio 2019

Social network, oppio dei popoli?

Google + chiude, è il momento di attivare Instagram!
Frenato finora dai miei trascorsi mobili Nokia Symbian e Windows, e anche dall’entusiasmo francamente scarso per questo replicarsi e rincorrersi su tante piattaforme, con pagine, gruppi, messaggi e persone sempre gli stessi, arrivo sul social network oggi più popolare e, ora che ti lasciano perfino mettere foto non solo quadrate, penso a a un possibile debutto.
Intanto c‘è già qualcuno che mi segue, anche gente che assolutamente non conosco, e decido che parto con la figurina del libro appena uscito per bambini, poi qualche di foto di città, la citazione di un articolo sul mio libro americano., una piccola manifestazione ambientalista in una bellissima piazza, ovviamente un gatto e perché no anche una simpatica coniglietta. Qualche tag, un freno a quelli che seguo perché non è bello che da subito sul profilo appaiano il doppio di quelli che seguono me, e…

Sul tetto di fronte, non il solito piccione!
Perplesso! Quanto tempo della nostra vita passiamo a “postare”, ad attendere verificare i “mi piace”, a gestire relazioni virtuali con gente con cui in molti casi non abbiamo nessun tipo di rapporto al di fuori della rete? Contenti di esserci, di partecipare, condividere, far sapere quali sono le città che visitiamo, i cibi che ci piacciono, gli animali e i fiori che amiamo.
Intendiamoci, non c'è niente di male, anzi è senz'altro meglio che appassionarsi a qualche imbecille che fa finta di litigare in televisione. Se questo non corrispondesse poi però socialmente a una sempre minore capacità di incidere sulla vita reale, la politica (sempre meno gente che partecipa e che vota!), l’economia (modelli di sviluppo obsoleti e devastanti per il pianeta accettati come ineluttabili, senza nemmeno ragionare di possibili alternative!), perfino la i rapporti personali (ci mandiamo messaggi whatsapp da una stanza all’altra, ma spesso non riusciamo a parlarci guardandoci in faccia!). Se questo non significasse in definitiva “sfogare” il nostro bisogno di essere presenti e attivi nel mondo in un ambito ambiguo separato e chiuso, dove tutto si stempera e si sterilizza, e la somma di miliardi di interazioni finisce con l’avere un impatto minimo sulle società e sul pianeta, perché in definitiva si svolge secondo un progetto che non è nostro, ma di network commerciali che dalla nostra presenza assidua e inconcludente guadagnano miliardi.
Alt, però! Sto usando anch’io quel “noi” che spesso ricorre, per descrivere situazioni e comportamenti in cui sicuramente siamo un po’ tutti coinvolti, ma a cui – magari qualche volta è utile ricordarlo – nessuno ci costringe, che non riguardano necessariamente proprio tutti e che, molto più di quanto non si creda, non è difficile in realtà ribaltare, se invece che osservatori e commentatori decidiamo di farci attori attivi.

La meraviglia in un tafano!
L’altra settimana a Napoli, con un gruppo di studenti universitari si parlava di tecnologie, computer e telefonini, rete, strumenti per fare il video. Alla fine, chi aveva organizzato l’incontro mi ha detto che aveva apprezzato molto l’accento che avevo messo sul gruppo.
Bizzarro! Quel “noi” con cui tanto spesso ci descriviamo, “facciamo, saremo”, rincorre per lo più generalizzazioni arbitrarie di comportamenti individuali certo diffusi, ma che non per questo possono essere eletti a paradigmi universali. Sembra che, dopo il sostanziale fallimento delle ubriacature sociali degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, oggi le osservazioni anche “alternative” non riescano a emergere da un pensiero unico appiattito sulla logica di un mercato il cui problema principale è come vendere a consumatori per lo più del tutto ignoranti macchine e tecnologie che non sono in grado di capire. Altro che “futuro”! il modello dominante per la tecnologia di massa del tempo presente sono i cartoni animati dei Pronipoti, di cui i social network e le app odierni sono una perfetta rappresentazione, frivoli e sostanzialmente inutili, nonché alla portata di chiunque sappia appena schiacciare un bottone! E la potenza e la responsibilità che i personal computer e il web quello vero sembravano poter assegnare alle comunità dei cittadini attivi, sollecitando e rendendo attuale una partecipazione democratica senza precedenti nella storia, sono scongiurate, in favore di una visione totalizzante – la faccia speculare del “frivolo” - di poteri centrali oscuri e inarrivabili, come nella più apocalittica fantascienza degli anni Cinquanta!
Così il semplice fatto di osservare che cosa succede quando sono i gruppi a prendere in mano per esempio la tecnologia e a usarla da un punto di vista che nasce al loro interno, dall’utilizzo consapevole per scopi che non sono solo quelli previsti dal mercato, diventa una cosa nuova e dirompente! Si intuisce - sorpresa! - anche solo osservando le prime reazioni di gruppi di bambini a cui viene offerta la possibilità di agire in un contesto diverso – non casi isolati, ma ricorrenze regolari, quindi forse da considerare! - e si capisce che un mondo diverso è immediatamente possibile!

Nel titolo del post, richiamo la celebre definizione che Karl Marx nell’Ottocento dava delle religioni, riferendosi all’effetto consolatorio di poter proiettare altrove - per esempio nell’aldilà, o in un universo virtuale - le contraddizioni dell’esistenza quotidiana, per cui si rinuncia ad agire nella società reale.
Vita da gatti!
Marx aveva elaborato un sistema di analisi scientifica della realtà economica di cui, in tempi di sovranisti e terrapiattisti, muri alle frontiere contro l’invasione di criminali e “governi del popolo”, decisamente si sente la mancanza. Ma già sarebbe un bel passo avanti sottoporre ogni tanto idee e convinzioni all’umile verifica del ragionamento. Come quando si riesce affermare con uguale convinzione - un esempio su tutti, visto che si è citato Marx - che il comunismo è stato sconfitto dalla storia e che la Cina, dove governano i comunisti, è ormai la più grande economia del pianeta.

Una volta si parlava “lotta di classe”. Oggi si descrive un futuro unico e ineluttabile verso cui ci porterebbe la tecnologia, come se questa potesse identificarsi nell’uso maldestro e approssimativo che ne fanno utenti sostanzialmente analfabeti e succubi del mercato, come se non ci fossero interessi contrapposti, intenzioni e attori umani che al futuro potrebbero dare direzioni anche completamente diverse.
Oggi i social network non sono in realtà davvero “sociali”, non sono cioè modellati sulle possibilità nuove di produzione condivisa che ci mette a disposizione il web, per cui servirebbero però una nuova cultura, educazione, consapevolezza, ma privati, commerciali, appiattiti sulle vecchie abitudini e modalità consumistiche di un tempo antico in cui il mondo era davvero ineluttabilmente diviso tra produttori e consumatori, anche di informazione. Non a caso acchiappano tutti, anche chi a mala pena sa accendere un computer, dando l’illusione anche agli assoluti incompetenti di saper “usare” la tecnologia. Dopo di che può essere anche bello e utile starci, ma bisogna tenere conto di questi limiti, che non sono da poco.
OK, vado a pubblicare questo articolo, e poi a condividerlo su Instagram, Facebook, Twitter, Linkedin... (faccina che ride!)

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