Questo
è il secondo di sette
articoletti,
il primo per l’introduzione e l’altro per i sei capitoli, in cui
provo a sintetizzare il libro Technology
and the New Generation of Active Citizens, che
ho
pubblicato a gennaio di quest’anno. A parte la piccola promozione
personale, mi piacerebbe raccogliere qui qualche
commento, critica, parere interlocutorio,
anche se so che sarà difficile,
perché i più preferiscono oggi, se mai, limitarsi a un “like” o
a qualche parola sui social
networks
commerciali,
ormai luoghi di incontro e di confronto preferiti, che tutto ingoiano
e mescolano in un pastone indistinto: idee, esperienze, barzellette,
notizie, sport, relazioni umane, cultura, politica. I personaggi
pubblici affermano senza vergogna di non
leggere i giornali
e gli spazi come i blog,
in cui ognuno può davvero pubblicare discorsi compiuti e non solo
accenni o pillole di ragionamenti, tra una pubblicità e l’altra,
vengono considerati
obsoleti,
come i dischi ottici e il pensiero
libero,
in un tempo in cui le app
monouso
rischiano di uccidono la rete e l’autonoma iniziativa delle
persone.
«Le
nostre società sono dipendenti dalla tecnologia, nel loro
funzionamento profondo e nelle abitudini quotidiane delle persone
comuni, che consumano avidamente app e dispositivi. Un’ideologia
orientata dal mercato invecchia però le cose molto rapidamente e
tende a far svanire la memoria del passato, anche recente, tanto che
molti vivono come sospesi in un continuo presente, proiettati verso
un futuro di fantasia, senza radici e prospettive. Anche il panorama
di consumi a breve è un ostacolo ad affrontare come cittadini
consapevoli e attivi i punti economici, sociali e politici di crisi,
a livello locale e globale, con conseguenti disagi sociali, paura e
insicurezza. Tornare agli anni in cui la storia è incominciata,
osservare le diversità e analogie dal presente, può essere utile
per capire meglio il nostro tempo, usare la tecnologia con più
consapevolezza e forse scoprire nuovi o "vecchie" soluzioni
ad alcuni problemi e vivere una vita migliore».
La
storia
comincia negli
anni Sessanta e Settanta del
secolo
scorso
quando,
a
suoi albori, già emergono alcuni aspetti
contraddittori della
società dell’informazione.
Herbert
Marcuse, nel suo “L’uomo
a una dimensione”
anticipa il problema attuale del
“pensiero
unico”
e Marshall
McLuhan, con lo slogan “il
medium è il messaggio”,
ben descrive il popolo degli odierni
adoratori di “devices”.
Rispondono soprattutto i giovani,
con una musica
ribelle non a caso
suonata e ascoltata ancora
oggi,
e poi con le lotte
degli studenti.
Ma anche altri movimenti cambiano profondamente la nostra cultura, le
donne soprattutto,
e
perfino i bambini (chi si ricorda in Italia l’animazione
teatrale,
per
un decennio all’avanguardia nel mondo?) suggeriscono nuovi punti di
vista e nuovi possibili valori. Gli
insegnamenti
dei
grandi
educatori
e
anche certe pratiche
di base
possono
essere
forse
importanti
non
solo per
la
scuola, ma per
l’insieme
della
società,
anche
se in
quei tempi ancora
sono limitati gli strumenti tecnologici alternativi ai grandi mezzi
di comunicazione di massa.
Paolo Beneventi
> Capitolo 2
Paolo Beneventi
> Capitolo 2
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