Ascoltato
ieri il prof. Ivo
Lizzola
che, con
un tono e un sorriso che vorremmo vedere più spesso nei pubblici
dibattiti, parlava
di inclusione
e narrazioni,
e
lo spunto è interessante. Qui
lo riprendo, anche perché si incrocia con alcuni
temi su
cui da tempo sto cercando di ragionare anche
in
questo
blog.
Perché
invece
altre
realtà
esistono, e altre narrazioni sarebbero possibili. Come quelle
storie
di inclusione
che, nell’esempio fatto ieri da Lizzola, semplicemente messe a
confronto con il racconto stereotipato di una immigrazione che crea
insicurezza, criminalità, paura, smontano
quel discorso basato essenzialmente
sui
luoghi
comuni
e, oltre
le
contrapposizioni ideologiche o gli
schieramenti
di parte, portano semplicemente a confrontarsi con le diverse facce
delle realtà, le
storie
vere
di donne, uomini, bambini, su cui poi è più facile venirsi
incontro
e trovare
percorsi di collaborazione,
con soddisfazione
di tutti.
Serve
oggi fare emergere la pluralità delle narrazioni,
sfatare nei fatti il potere totalizzante del pensiero unico, trovare
linguaggi e canali adeguati, anche perché, a differenza
che in passato, i mezzi
tecnici
per farlo ci sono e sono, come mai nella storia, davvero alla
portata di tutti.
È
un po’ quello che, nel mio piccolo, cerco di fare quando pubblico
esempi di attività
di bambini
e ragazzi
che sfatano nei fatti le narrazioni dominanti che li vorrebbero
“nativi digitali”, malati
di deficit d’attenzione e di bullismo.
Con
Irene
Blei,
in Argentina, ci stiamo in questi giorni scambiando idee su come far
emergere l’enorme ricchezza
che ci scambiamo per esempio durante i vari festival
di cinema e video di ragazzi, e che però rimane di fatto un
patrimonio per “addetti ai lavori” e non
arriva all’opinione pubblica.
È
d’accordo
e mi scrive:
“È
essenziale rendere le idee visibili perché
siano
comprese. Saremo molto geniali
ma, se non sappiamo mostrarlo, non esiste!”
Nessun commento:
Posta un commento