venerdì 13 novembre 2015

Testuale contro digitale? Ma di che mondo parliamo?

Il convegno che si è svolto a Genova venerdì 6 novembre, Tecnologie e ambienti di apprendimento: documentazione e prospettive”, è stato interessante anche per la formula dei “tavoli”,  ideata da Linda Giannini  e Carlo Nati, per cui un piccolo numero di persone si sedeva insieme con il relatore e la comunicazione ne risultava molto diretta (mentre a un convegno che apre oggi mi pare che siano in 4000! Oltre il delirio!) Belli e anche vari, a Genova, gli argomenti, e disteso e conviviale l'ambiente, a Palazzo Ducale.
Chiedo scusa allora se prendo spunto da una frase introduttiva a uno dei tavoli, per scrivere una volta di più contro l'ideologia che, a mio parere, sta incasinando non poco il mondo presente.
Leggo: “E’ verosimile che la scuola e gli insegnanti di una società digitale siano alquanto diversi dagli insegnanti e dalla scuola figlia della cultura testuale”.
Dunque, vero è che la scuola di quella cultura è figlia ma – questo è l'equivoco su cui si danza spesso e volentieri – la cultura della società da cui veniamo è “testuale”?
No!
Una "star" del convegno di Genova
Da molti decenni, la cultura in cui viviamo è multimediale, a prevalenza televisiva. E la scuola non ne ha mai tenuto conto! La cosa più buffa (se non fosse che comporta uno spreco enorme di tempo, pensiero e denaro, perché si finisce per agire poi in direzioni assolutamente sbagliate) è che, non avendo il mondo dell'educazione mai tenuto conto della televisione, oggi molti pretendono di passare direttamente al “digitale”, ancora non tenendo conto di decenni di televisione. Il che, nella migliore delle ipotesi, è abbastanza patetico!

E la cultura verso cui andiamo è “digitale”?
No!

Digitale non è una cultura, ma semplicemente il funzionamento interno, provvisorio, della tecnologia attuale, che per il resto noi usiamo attraverso interfacce assolutamente analogiche. Domani i computer potrebbero basarsi per es. sulle reti neuronali e per l'utente finale che usa solo le app, probabilmente non cambierebbe molto, come non è cambiata in sostanza la televisione, che prima era analogica e oggi digitale, ma, a parte qualche opzione interattiva e il fatto che la possiamo vedere anche on line, sempre televisione è.

Oggi il “digitale” sono strumenti importanti che rendono possibile un livello di comunicazione e anche di produzione di base senza precedenti, ma che in realtà continuiamo a usare solo per una minima parte delle loro potenzialità, sprecando risorse immense che davvero potrebbero "cambiarci la vita", perché il "digitale è soprattutto una ideologia che si basa essenzialmente sul mercato!
Devono convincerci a cambiare ogni sei mesi aggeggi che fondamentalmente non sappiamo usare e che non impareremo mai ad usare, perché se no smetteremmo di buttarli continuamente via e incominceremmo a farci quello che ci serve davvero, per produrre e comunicare.

Vedo tanto questionare sugli ebook e i libri di carta, sulla “inutilità” della scrittura in corsivo (ma siamo pazzi?) e quasi nessuno che si pone la domanda su come mai, in un mondo con il massimo di potenza di comunicazione della storia, la gente, i gruppi, i popoli e le nazioni riescono sempre meno a comunicare. La conflittualità è diffusa ovunque; la politica si basa come non mai su slogan elementari ed emozioni di pancia; guerre, terrorismo, violenza e integralismi contrapposti si moltiplicano in tutto il mondo; e poi cambiamenti climatici devastanti, crisi economiche a raffica, migrazioni epocali contro cui si innalzano muri!
E il problema dell'educazione è che non è “digitalizzata”? Ma scherziamo?

Le macchine e la tecnologia sono estensione dei sensi, della mente, delle relazioni tra gli umani. E gli umani sono corpo, ambiente, socialità.
La tecnologia ci aiuta a conoscere e condividere la realtà
Negli anni Settanta del secolo scorso, non solo si suonava la musica che va ancora oggi, ma una parola d'ordine agitò per un certo periodo il meglio dell'educazione italiana: a scuola con il corpo! A parte molte situazioni fortemente innovative che hanno mostrato che i miracoli sono possibili (Don Milani, Mario Lodi, Reggio Emilia, senza bisogno di andare in Finlandia!),
l'istituzione scuola però, il cui scopo principale è riprodurre se stessa, non ne ha tenuto conto, e continua a non tenerne conto, inseguendo le mode e la “tecnologia”, che oggi si chiama digitale, e che serve a ben poco nel momento in cui viene da una parte imposta dall'alto a un corpo insegnante che deve continuamente rincorrerla, e dall'altra non si appoggia su uno sviluppo armonico ed equilibrato delle persone.
È dimostrato che con i bambini e i ragazzi, partendo per esempio dall'animazione teatrale, si ottengono risultati in termini anche di apprendimento e produttività assolutamente superiori, con un uso anche delle macchine e della tecnologia naturale, appropriato, non conflittuale.
Forse il problema è che partire finalmente dalle persone, essenzialmente non costa niente. Si fanno i conti con quello che si è e che si ha, non ci si sente sempre inadeguati, e magari ci si confronta l'un l'altro, per scambiarsi le esperienze. Che è poi l'unico modo serio di non “perdere tempo”.
Troppo poco costoso? Troppa poca burocrazia? Troppo facile?

lunedì 2 novembre 2015

Al Global Junior Challenge premiata la scuola senza insegnanti!

Non è in Finlandia! Non è un esperimento sfizioso da paese ricco con pochi abitanti, che può permettersi quello che noi non possiamo (anche se, secondo i racconti di chi le ha viste dal vivo, anche le tanto ammirate scuole finlandesi hanno i loro lati oscuri).
Il ragazzo mi saluta con un bel sorriso e mi dice: «Vengo dall'India!»

Abhijit Sinha con Cindea Hung, Taiwan
Il suo tavolino (quest'anno il GJC , che si è appena svolto a Roma dal 28 al 30 ottobre, è stato davvero low cost e rigorosamente non c'erano stand, ma tavolini!) è tra i più semplici e disadorni. Vanno su un pc portatile immagini e qualche piccola sequenza video, ma il suo progetto non ha ancora un suo sito web, in arrivo però – mi assicura – tra poche settimane.
Mi racconta che nel suo villaggio la scuola era un disastro, i ragazzi non imparavano niente. E allora lui ha avuto l'idea di farla lui una scuola, senza classi, senza maestri o professori, dove le persone, adulti e ragazzi, semplicemente si insegnano l'un l'altro quello che sanno fare!
Ha funzionato, anche verso il mondo del lavoro, perché ci sono imprenditori che hanno bisogno di operai e impiegati che, più che un pezzo di carta da mostrare, sanno fare le cose!
Ora quella scuola va avanti da sola, e lui, Abhijit Sinha, 24 anni, va in altri villaggi a organizzare altre scuole così.
Dura la vita nei villaggi in India, e di solito chi riesce ad andarsene via per studiare in città, poi non torna. Ora – mi dice – c'è gente che dalle città viene nelle sue scuole!
È anche un modo per sviluppare una coscienza del valore della cultura locale, le tradizioni, il cibo, che in India oggi sono fortemente minacciate anche da quell'ideologia del progresso e della modernità che sempre si accompagna al forte sviluppo industriale dei paesi “arretrati”.
Abhijit non viene pagato per questa sua attività di “seminatore di scuole”. «Come fai a vivere allora? Non puoi lavorare gratis!»
Con molta semplicità, mi dice che, nei villaggi dove opera, gli danno un posto dove abitare, da mangiare, da vestire...

martedì 13 ottobre 2015

Terra Insieme, parte seconda: oggi!



.... Continua

Premessa storico – tecnologica.
C’era una volta il personal computer, che indicava un futuro possibile in cui tutti, nella società dell’informazione, potremmo essere produttori di informazione. Fu inventato nei garage da giovani appassionati che furono capaci di stravolgere i programmi di IBM, il monarca assoluto che governava l’informatica degli anni Settanta.
C’era una volta la rete, il World Wide Web, che permetteva potenzialmente a tutti di collegarsi con tutti nel mondo. Fu inventata nelle università, stravolgendo i piani di Microsoft, il monopolio quasi assoluto che governava l’informatica degli anni Novanta.

Il progetto TerraInsieme, nei primi giorni di vita pubblica, ha raccolto la sua piccola messe di “mi piace” su Facebook, è “in visione” presso molti che hanno detto che ci ragioneranno su (in effetti, troppe pagine!) e nel gruppo dei “coordinatori” c’è chi è incerto su cosa pubblicare o no all’interno dell’unico spazio per il momento aperto e praticabile, cioè la paginafacebook. Ci sarebbe anche il blog, su cui per il momento ho scritto due cose io, ma su cui tutti possono aggiungere osservazioni e commenti, che restano.
Chi per il momento vuole dare solo un’occhiata, può andare al canale YouTube e, all’interno del sito provvisorio, per esempio alla pagina della galleriavideo, dove può trovare filmati interessanti, che magari suggeriscono idee senza richiedere troppo impegno. Per chi invece vuole impegnarsi davvero, abbiamo scritto perfino un manifesto, chesi può firmare!
A parte che il mondo globalizzato è figlio della televisione (il medium passivo per eccellenza) e che i social network stanno restringendo la partecipazione non solo della massa dei consumatori, ma anche di molti che potrebbero essere protagonisti autorevoli nella società, dentro ambiti spesso di pura testimonianza inconcludente (che peso hanno per esempio le decine di migliaia di docenti che si accapigliano in rete, quando il governo italiano decide della “buona scuola”?), e a parte che è sempre tremendamente difficile fare e muovere qualcosa, l’idea rimane quella di mettere tante cose intorno a un fulcro e non lasciarle lì ferme, ma fare in modo che si “agitino” a vicenda. Per pensare, progettare, lavorare meglio, insieme!
Come, concretamente? Chiediamocelo e cerchiamo di spiegarcelo gli uni con gli altri!

La vecchia mela strega dei bambini di Urago d’Oglio, continua a sghignazzare e forse ci fa gli auguri!

domenica 27 settembre 2015

Terra Insieme, parte prima: le origini!



Adesso che è attivato il reindirizzamento sul nuovo sito, provvisorio ma attivo e pubblico, che ho realizzato direttamente on line con Wix, le vecchie pagine di www.terrainsieme.net non si vedono più. Se però si condivide il link in un social network, per quegli strani meccanismi che la rete usa quando mette insieme i frammenti delle nostre navigazioni e azioni sul web, salta fuori una fotografia che stava nel sito vecchio e che, una volta tanto è, tra le tante possibili, la più adatta di tutte.
Era il giugno 2012 e incontravamo i ragazzi di prima della scuolamedia di Urago d’Oglio (che allora stava provvisoriamente dentro l’oratorio, da cui il campo di calcio che si vede dietro!). Con loro, durante tre brevi incontri, avevamo iniziato una collaborazione realizzando un piccolo film, sul tema del denaro.
Erano i primi, incoraggianti atti di un progetto radicato al territorio, ma aperto al mondo globale, che in seguito avremmo pensato di chiamare “Terra insieme”, fortemente voluto da Fausto Filippini, che si vede nella foto seduto su una panchina, con due ragazzi. Pochi giorni dopo, quei ragazzi avrebbero partecipato a un corso di video d’animazione tenuto da un gruppo di docenti, ragazzi e bambini provenienti dal Media Education Centre di Belgrado, condotti da Miomir Raicevic, durante quello che, per vicissitudini varie, non riuscì ad essere quel meeting internazionale che avremmo voluto, ma ugualmente lasciòil suo segno.
Tante cose stavano partendo quando, pochi mesi più tardi, improvvisamente Fausto ci lasciò.

Per un po’ si era continuato a portare avanti varie attività iniziate insieme. Poi, mentre altre idee lanciate da Fausto proseguivano in quel territorio, a cavallo tra le provincie di Bergamo e Brescia, intoppi e problemi si susseguivano, fino alla chiusura della sede di Urago di Coop VicinatoLombardia, che era stata la nostra base.

Oggi, anche in memoria di Fausto, il progetto Terra Insieme è ripartito:
Gruppo di lavoro. Siamo professionisti che scelgono di fare causa comune, secondo i criteri esposti nel Manifesto! 
Impegno culturale. Crediamo nella cittadinanza attiva e nella collaborazione tra le persone e i popoli, nell'utilizzo consapevole e propositivo della tecnologia, oltre i consumi individuali, la dispersione e lo spreco. 
Strumenti.  Stiamo lavorando per allestire e rendere disponibile un ambiente di condivisione e incontro, aperto al contributo di tutti, da qualsiasi parte del mondo, per scambiare idee, esperienze, progetti, conoscersi e fare insieme”.


Continua
 

venerdì 18 settembre 2015

Dove Cicciobello rinasce a nuova vita!

Succede che un giorno passiamo per Contrada del Cavalletto, nel centro di Brescia, e l'attenzione è attirata da una piccola vetrina che non avevamo mai notato, piena di giocattoli e di colori, ma soprattutto di bambole, bellissime, alcune davvero incredibili, che sembrano bambini veri.
La porta è semichiusa, ma vediamo che dentro c'è una donna dalla pelle nera. Ci vede e ci apre, ci fa entrare.
Incominciamo a parlare come se fossimo vecchi amici e ci racconta del perché in quel momento è piuttosto arrabbiata. È passato da poco un tipo che, osservando le bambole, le ha detto: “Non puoi averle fatte tu: i negri non hanno doti artistiche!
 

Non è per la parola “negro”, che anzi lei usa senza problemi, forse intuendo da straniera comunitaria (è francese, dalle Antille a Parigi!) che in italiano - prima che un piatto conformismo “politicamente corretto” ne mutuasse una accezione comunque negativa dalle cattive traduzioni dei film americani – in realtà non è necessariamente una brutta parola.
Ci racconta però di come è difficile condurre l'attività nel suo circolo affiliato all'ARCI in una città come Brescia, ci racconta dei suoi corrispondenti da Torino, da Bologna, dalla Germania.
Celine non è solo un'artista di quelle bambole che oggi vengono chiamate “reborn”, ma porta avanti nel suo piccolo laboratorio una cultura sistematica del riciclo, in particolare di bambole e giocattoli, mostrando come tutto si può recuperare, a livelli anche di ottima qualità. Così, accanto a splendide bambole da collezione, fatte da lei o provenienti da donazioni, in quelle stanze attendono piccole folle di vecchi Cicciobello dismessi, speranzosi di essere restituiti a nuova vita.
Le dico: “Se sei d'accordo, torno qui qualche volta e facciamo un piccolo film!” Perché c'è qualcosa di davvero bello da raccontare, nell'atelier Rêve des Rêves di Celine!

sabato 15 agosto 2015

La Scuola che Funziona chiude. Arrivederci!



Succede spesso d’agosto, quando la gente è per lo più in vacanza e distratta.

A volte sono decisioni dei potenti della terra. Un fatto che avrebbe sconvolto il mondo avvenne per esempio nell’agosto 1971, quando il presedente americano Nixon sospese la convertibilitàdel dollaro in oro, avviando l’epoca delle monete liberamente fluttuanti, che tanto ci ha fatto divertire in questi anni.

Altre volte sono cose che invece ci riguardano più da vicino, come la fine delle pagine Ning , il social network della “Scuola che funziona.

Agosto ovviamente in questo caso è un caso. Tutti gli anni ai gestori di domini e siti variamente a pagamento arrivano letterine che sollecitano a scegliere tra il rinnovo e l’abbandono, e anch’io nei prossimi mesi, in tempi di spending review telematica, probabilmente lascerò cadere qualcosa delle troppe pagine che, a tentoni, nel tempo, ho sparso in giro nella rete.
Gianni Marconato
Gianni Marconato, che aveva dato il via alla Scuola che funziona nell’ormai lontano 2008, qualche giorno fa ha dato l’annuncio dello stop alle attività dalle pagine di facebook e dal propriospazio web.

Rimane per il momento la pagina fb La scuola che si racconta, dove si ritrova il vecchio logo e la continuità di un’esperienza certo da tempo molto meno intensa, mentre nel dominio .it, che pure resta, viene annunciato per il futuro un blog.



Non sto qui a raccontare una storia che tutti possono leggere ottimamente sintetizzatada Gianni.

Devo però dire che, per me personalmente, in un panorama in questi anni recenti tanto vasto quanto spesso desolante di iniziative che cercano di svilupparsi in rete e che alla fine non fanno altro che ribadire una diffusa incapacità, oltre i discorsi, le opinioni, spesso le chiacchiere, di incidere sulla realtà, la Scuola che Funziona ha rappresentato qualcosa di diverso.

Cioè, io nella scuola ci lavoro spesso, ma non sono un insegnante, e in più di un’occasione, di fronte ai problemi enormi che la scuola italiana in questi anni deve affrontare e che trovano i docenti così spesso non solo sfiduciati e impotenti, ma anche incapaci di uscire da certi circoli viziosi di ripicche e gelosie, sono contento di non esserci davvero dentro, nella scuola, e cerco di pensare più da lontano, appoggiandomi magari alle mie frequentazioni di artisti internazionali di teatro, cinema ed educazione, che per loro fortuna manco hanno mai sentito parlare della “buona scuola” di Renzi!

Andreas Formiconi
Ecco, la Scuola che Funziona era diversa: funzionava davvero!

E qui non concordo con Gianni quando lascia intendere che la gente “preferisce” i social network generalisti. Non è vero. Stanno dentro in quelli mugugnando, perché non c’è altro. Il problema è che quando l’altro c’è (e in questo caso c’era), superata la fase della sorpresa, dell’entusiasmo, che ci fa sentire tutti senza fatica bravi e belli, a un certo punto bisogna darsi una organizzazione di un livello superiore, perché se no lo slancio si esaurisce. E’ lo stesso problema della democrazia: nessuno te la regala e, anche se è una favola conquistarla, poi ci vuole un impegno duraturo, quotidiano, a volte perfino noioso, perché le forme di partecipazione continuino la loro efficacia nel tempo. Se non si rinnovano, non si reinventano periodicamente, appassiscono, o si deteriorano – come ben sappiamo - in stanche forme rappresentative che, senza un effettivo controllo di base, alla fine rappresentano solo se stesse e degenerano in caste.


La Scuola che Funziona a un certo punto non ha fatto il salto di qualità, oltre i gruppi che si facevano e mantenevano da solioltre il Manifesto (e Simona Martini, che ne realizzò la versione video, mi ha chiesto di ricordare Riccardo Rivarola, che la aiutò con i titoli e che ora non è più tra noi). Non è andata oltre il volontarismo che, per quanto encomiabile, non porta mai troppo lontano. Non è un demerito così grande, il discorso è molto complesso e prima o poi bisognerà riuscire ad affrontarlo, dato che è il problema fondamentale di tutti i movimenti spontanei. Ma a volte sembra che ci dimentichiamo che Facebook e Twitter non solo acchiappano perché sono ben fatti, ma sono società quotate in borsa! È impensabile poter proporre alternative reali lavorandoci soltanto nel tempo libero, quando ne abbiamo voglia, senza darsi una struttura e un metodo anche assolutamente diversi, ma adeguati. Quando, in altro ambito da quello educativo, qualcuno è riuscito a farlo, da un movimento senza scopo di lucro è nato Linux!

Elena Favaron
Della Scuola che Funziona, a parte il bellissimo Manifesto degli Insegnanti (da riprendere comunque, rilanciare!),  ricordo l’incontro plenario all’Arsenale di Venezia, nel 2010 (a cui si riferiscono le foto), attivo, propositivo, una delle non una riunione di insegnanti la cui nota dominante era l’ottimismodella volontà.

E poi lapubblicazione americana con la IGI Publishing, decisa alla fine a maggioranza, dopo che diversi dei più illustri animatori del movimento avevano espresso la volontà a un certo punto di fare un’altra cosa. Fu dibattito e confronto di opinioni vero, aperto, appassionato, dove lo strumento on line per una volta si dimostrò adeguato e soddisfacente per il gruppo di persone che scelsero di usarlo. Il ponderoso libro alla fine si fece (e io mi ritrovai con ilmio piccolo articolo a pagina 1, piccola iniezione di vanità personale che ogni tanto ci vuole!)



È stato bello e – come ha scritto anche Gianni – senza stare lì a rimpiangere quello che non è stato o non è più, La Scuola che Funziona è una ricchezza che tutti noi che vi abbiamo partecipato ci portiamo dentro, per il presente e per il futuro.