Il
convegno che si è svolto a Genova venerdì 6 novembre, “Tecnologie
e ambienti di apprendimento: documentazione e prospettive”,
è stato
interessante anche per la formula dei “tavoli”, ideata da Linda Giannini e Carlo Nati, per cui un piccolo numero di persone si sedeva insieme con il relatore e la comunicazione ne risultava molto diretta (mentre a un convegno che
apre oggi mi pare che siano in 4000! Oltre il delirio!) Belli e anche
vari, a Genova, gli argomenti, e disteso e conviviale l'ambiente, a
Palazzo Ducale.
Chiedo
scusa allora se prendo spunto da una frase introduttiva a uno dei
tavoli, per scrivere una volta di più contro l'ideologia che, a mio
parere, sta incasinando non poco il mondo presente.
Leggo: “E’
verosimile che la scuola e gli insegnanti di una società digitale
siano alquanto diversi dagli insegnanti e dalla scuola figlia della
cultura testuale”.
Dunque, vero è che la
scuola di quella cultura è figlia ma – questo è l'equivoco su cui
si danza spesso e volentieri – la cultura della società da cui
veniamo è “testuale”?
No!
Da molti decenni, la
cultura in cui viviamo è multimediale, a prevalenza
televisiva. E la scuola non ne ha mai tenuto conto! La
cosa più buffa (se non fosse che comporta uno spreco enorme di
tempo, pensiero e denaro, perché si finisce per agire poi in
direzioni assolutamente sbagliate) è che, non avendo il mondo
dell'educazione mai tenuto conto della televisione, oggi molti
pretendono di passare direttamente al “digitale”, ancora non
tenendo conto di decenni di televisione. Il che, nella migliore delle
ipotesi, è abbastanza patetico!
E
la cultura verso cui andiamo è “digitale”?
No!
Digitale non è una cultura, ma semplicemente il funzionamento interno,
provvisorio, della tecnologia attuale, che per il resto noi usiamo
attraverso interfacce assolutamente analogiche. Domani
i computer potrebbero basarsi per es. sulle reti
neuronali e per l'utente finale che usa solo le app, probabilmente non cambierebbe molto, come
non è cambiata in sostanza la televisione, che prima era
analogica e oggi digitale, ma, a parte qualche opzione interattiva e
il fatto che la possiamo vedere anche on line, sempre televisione è.
Oggi
il “digitale” sono strumenti importanti che rendono possibile un livello di comunicazione e anche di produzione di base senza precedenti, ma che in realtà continuiamo a usare solo per una minima parte delle loro potenzialità, sprecando risorse immense che davvero potrebbero "cambiarci la vita", perché il "digitale è soprattutto una ideologia che si basa essenzialmente sul mercato!
Devono convincerci a
cambiare ogni sei mesi aggeggi che fondamentalmente non
sappiamo usare e che non impareremo mai ad usare, perché se
no smetteremmo di buttarli continuamente via e incominceremmo a farci
quello che ci serve davvero, per produrre e comunicare.
Vedo tanto questionare
sugli ebook
e i libri di carta, sulla “inutilità” della scrittura
in corsivo (ma siamo pazzi?) e quasi nessuno che si pone la
domanda su come mai, in un mondo con il massimo di potenza
di comunicazione della storia, la gente, i gruppi, i popoli e le
nazioni riescono sempre meno a comunicare. La conflittualità
è diffusa ovunque; la politica si basa come non mai su slogan
elementari ed emozioni di pancia; guerre, terrorismo, violenza e integralismi
contrapposti si moltiplicano in tutto il mondo; e poi cambiamenti
climatici devastanti, crisi economiche a raffica, migrazioni epocali
contro cui si innalzano muri!
E
il problema dell'educazione è che non è “digitalizzata”? Ma
scherziamo?
Le
macchine e la tecnologia sono estensione dei sensi, della mente,
delle relazioni tra gli umani. E gli umani sono corpo, ambiente,
socialità.
La tecnologia ci aiuta a conoscere e condividere la realtà |
l'istituzione scuola però, il cui scopo principale è riprodurre se stessa, non ne ha tenuto conto, e continua a non tenerne conto, inseguendo le mode e la “tecnologia”, che oggi si chiama digitale, e che serve a ben poco nel momento in cui viene da una parte imposta dall'alto a un corpo insegnante che deve continuamente rincorrerla, e dall'altra non si appoggia su uno sviluppo armonico ed equilibrato delle persone.
Forse il problema è
che partire finalmente dalle persone, essenzialmente non costa niente.
Si fanno i conti con quello che si è e che si ha, non ci si sente sempre
inadeguati, e magari ci si confronta l'un l'altro, per scambiarsi le
esperienze. Che è poi l'unico modo serio di non “perdere tempo”.
Troppo
poco costoso? Troppa poca burocrazia? Troppo facile?
C'è sempre un'aria di famiglia in quanto scrivi, Paolo. Questo al di là dei punti che vorrei precisare, guardare attraverso, filtrare.
RispondiEliminaA esempio quell'uso "non conflittuale" di cui parli alla fine del tuo articolo che pure comprendo. Mi fa anche dire: ben venga la conflittualità perché non c'è conflittualità (comunicativa) se ognuno è immerso nel suo smartphone.
Parli di ideologia. Vero e profondo se intendiamo con questo un complesso che ci orienta al di fuori e al di là di noi, un grumo insensibile da portare alla luce e alla coscienza.
No, un adulto non può accogliere un piccolo che esce da scuola senza staccare gli occhi dal suo aggeggio elettronico. No, un seienne non deve dire che il suo papà non gioca con lui perché sta sempre su facebook. La scuola ha ignorato la cultura televisiva, non ha ignorato i bambini di questa cultura. Compito ancora più arduo ora non ignorare i bambini della "cultura digitale" senza piegarsi all'ideologia, appunto.