giovedì 26 luglio 2012

Il bambino e i Girasoli di van Gogh


Appoggiato sul tavolo di pietra, con le ombre del giardino sullo sfondo e il cesto di paglia vicino, è ancora più suggestivo: sono i Girasoli di van Gogh, reinterpretati da Tommy, 5 anni!
Chi ha provato, attraverso percorsi adeguati di incontro con le opere e le tecniche, a mettere a confronto i bambini della scuola dell'infanzia con pittori come Kandinskij, Klee, Miró e appunto van Gogh, sanno che il livello delle risposte che si ottengono è quasi sempre sbalorditivo. Un adulto che non conosca il contesto potrebbe gridare al "genio", e molti si stupiscono della "composizione", insolita per quell'età.
In realtà, per andare così oltre l'organizzazione spaziale dei loro disegni liberi, i bambini in questi casi semplicemente copiano. Ma "copiare" i grandi della pittura per loro è in realtà un atto estremamente creativo, è la scoperta di un modo di mettere giù le forme e i colori che li sorprende, li affascina, e che sentono vicino e raggiungibile. Quei dipinti piacciono, entusiasmano, scatenano la voglia di fare, soprattutto se per copiarli si usano dei colori veri, che mescolando cambiano e si combinano, e magari poi si possono stendere, invece che sulla carta, sul legno o sulla tela.
Guardare, toccare, spaciugare, sentire con il tatto e con il naso, usare il pennello, sperimentare la densità dei materiali...

L'esperienza sensoriale quando si incontra con l'arte produce molto spesso risultati altissimi; così come anche le uscite a fotografare gli insetti nel cortile, i laboratori ben fatti di animazione teatrale, la scuola all'aperto.
Quando si parla della crisi della scuola e si sentono suggerire, spesso a tentoni, da punti di vista poveri e parziali, certe soluzioni per risolverla, in cui volentieri si confonde la “tecnologia” con il mercato (la LIM in ogni aula, un tablet su ogni banco... ma non si parlava già negli anni Settanta di andare oltre le lavagne e i banchi?), non posso fare a meno di pensare a quanto nella realtà si riveli facile, produttivo, immediato, con un approccio semplice, naturale e assolutamente “low cost”, ottenere viceversa risultati eccellenti, immediati, sempre! E a chi sostiene che la scuola “vera” sarebbe “un'altra cosa”, chiederei allora di osservare seriamente – ma che ci provino veramente, per favore - che cosa producono i bambini sul piano non solo artistico, ma anche scientifico e linguistico. Quasi immancabilmente eccellenze, e senza bisogno di programmazioni complicate, risorse all'ultima moda, interrogazioni e test. Basta il piacere di fare le cose e di imparare, facendo, qualcosa di più del mondo in cui vivono.
So di classi che aspettano con entusiasmo ed emozione l'ingresso non del pagliaccio o del mago, ma del professore di matematica che, come Seymour Papert, il papà del LOGO, gliela propone come un bellissimo gioco.

Le persone al centro delle attività, i mezzi e i materiali sperimentati, scelti e usati secondo i propri progetti e non per imposizione dall'alto, il corpo, l'ambiente naturale, i compagni, l'emozione, la curiosità, la motivazione, come elementi centrali per la formazione di cittadini del terzo millennio: a questo serve la scuola! Perché si può crescere non dissociati tra il reale e il virtuale, attori attivi della vita sociale e non passive pedine di un gioco dominato dall'ideologia del dio mercato.

Nel vecchio maglio di Sarezzo (Brescia), trasformato in un laboratorio di idee e attività, ho visto bambini nelle attività di pittura usare solo colori naturali, tratti da minerali e da vegetali pestati, macerati, mescolati, con il mortaio e con le mani. Le stesse dita che sfiorano l'iPad, gli stessi occhi che conoscono il cinema 3D, senza contraddizione, in armonia. Piccoli, facili passi verso quella necessaria, essenziale (e tutto sommato molto semplice) ricomposizione degli essere umani e dell'unità dell'esperienza, per un mondo popolato di persone e cittadini sereni, a posto con se stessi, gli altri e la natura, capaci di auto apprendere e di usare anche la tecnologia, non solo per consumare, ma per costruire insieme in democrazia il proprio destino.

mercoledì 18 luglio 2012

Teatro come ecologia dell'uomo!


Nel piccolo ma prezioso libro a cura di Cam Lecce e Jörg Christoph Grünert, Teatro come Corpo Sociale e Orizzonte di Diritti Umani, Raimondo Guarino ed Ezio Sciarra insistono sul concetto di teatro come “ecologia dell'uomo”. In particolare Sciarra scrive: «Si deve indossare la finzione per uscire da ciò che di finto è stato fatto di noi, per ritrovare quindi l'armonia nascosta, da cui emerge la persona, la natura umana». Una nota rimanda al Paradigma perduto di E.Morin, 1974, mentre all'orizzonte campeggiano figure come Jerzy Grotowski e Antonin Artaud, che con molti decenni di anticipo avevano individuato temi cruciali per gli umani di oggi.
Pensavo: viviamo in un epoca di continui, disperati, superficiali upgrade, in cui discutiamo quanto nei telefonini smart il Symbian Belle ha copiato da Android che ha copiato da iOs di Apple, ci appassioniamo se esistano o no per davvero i “nativi digitali”, e intanto specchiamo le nostre vite individuali e sociali sempre più nella televisione (che da anni si predica “finita” per colpa del web, ma intanto il mondo intero si sta conformando a un reality show e in Italia pare che ancora il 20% degli elettori si fidi di uno come Berlusconi!)
Nella mia incerta, traballante ma tutto sommato credo coerente storia culturale e professionale, ritenendo a un certo punto fondamentale, per la formazione della persona e del cittadino, l'esperienza del corpo e dell'ambiente, avevo sottotitolato un mio libro “per una ecologia dell'educazione”, e nel 2010 avevo pubblicato ancora una volta sull'animazione teatrale, molto più importante a mio avviso, molto più centrale e indispensabile, nel mondo di oggi, di tanto rincorrere a vanvera il supermercato della tecnologia (e non a caso una lettrice mi ha detto: “dopo aver letto il tuo libro, sull'animazione, ho finalmente cominciato a usare il computer!”)

Teatro di adolescenti, Cuba 2009
Nel libro di Lecce e Grünert si raccontano scene intense e importanti da un laboratorio di burattini in Libano, con adolescenti, appena dopo l'offensiva israeliana del 2006. Da una realtà certo meno drammatica, ma comunque molto meno finta della nostra, rivedevo qualche giorno fa un mio video girato nella “accademia” di teatro di Roberto Tomás, a Lawton, Avana, Cuba 2009. Ancora ragazzi di 13, 14 anni, e una intensità incredibile non solo nella “recitazione”, ma anche nel parlare di sé, della propria vita, di quello che un adolescente può fare oggi nel mondo. Mi sembrava quasi, dopo un lungo viaggio nel nulla, di ritornare sul pianeta terra!
Probabilmente è per questo che mi piace lavorare con i bambini, perché sollecitando certe corde, l'osservazione il gioco, il teatro, la possibilità e il piacere di raccontare e di essere ascoltati, basta davvero poco per rimuovere “ciò che di finto è stato fatto di loro”. E quando un educatore riesce a vivere la sua esperienza oltre questa finzione, oltre queste incrostazioni di ideologia, allora è davvero tutto un altro vivere, un altro agire, altri risultati. Anche a scuola!

domenica 15 luglio 2012

I nonni videogiochi dipendenti: il futuro digitale che abbiamo inventato, 2


Non so voi, ma io il livello 6-11 di Angry Birds lo trovo assolutamente micidiale. Non ne vengo fuori! Ho anche collegato il telefonino a un monitor esterno per vedere di capirne forse di più, ma non c'è niente da fare: i 3 scanzonati uccellini demolitori non trovano le traiettorie giuste. Non ci posso perdere la mia intera vita!
Konami Hyper Olympic, 1984
Cresciuto con i giochi olimpici della Konami, quello che dovevi agitare il joystick come un forsennato per vincere la gara dei 100 metri o di salto in alto, ancora nei primi anni Novanta mi ricordo che la curiosità di vedere cosa c'era oltre, nei giochi d'avventura 2D di allora, era nettamente superiore al desiderio di misurare la mia abilità. Ed allora era caccia sulle riviste, in attesa di una rete che ancora non c'era, alle combinazioni di tasti e ai codici segreti.
Il mio bambino più grande barava clamorosamente su una variante di Tetris, avendolo impostato a una facilità tale che poteva andare avanti tranquillamente per ore. Il più piccolo, a 5 anni aveva scoperto un modo di mettere il giochino in pausa, e poi con il corpo mimava le diverse posizioni dei personaggi.
Quanto tempo di vita tanti di noi hanno perso sui videogiochi, per arrivare a 50 anni a sentirsi classificare da una sociologia superficiale e approssimativa come dei “tagliati fuori” dal cosiddetto mondo digitale!
The Treasure of Usas, 1987
Vecchia scuola evidentemente, io solo con la mia macchina (computer “personale”, cribbio!), non mi hanno mai attirato più di tanto i giochi on line. Devo aver provato una volta sola per 20 minuti Farmville, dopo di che mi sono chiesto: “Ma perché mai ci dovrei giocare?”. E in seguito – come molti del resto – ho seriamente minacciato di cancellare quegli amici che su Facebook, nonostante i miei rifiuti, continuavano a tampinarmi. E alcuni sono anche più stagionati di me!
Le mie dita non si sono mai abituate al gameypad, e del resto non ho mai nemmeno giocato a Doom, i cui eredi vedo tuttora imperversare sulla PlayStation del mio bimbo piccolo, ormai decisamente cresciuto. Da sempre attirato dai giochi sportivi, ho provato un'amore a prima vista per la Wii, la prima console che si comandava con il corpo: geniale!
Non sopporto quegli attempati, spesso e volentieri professori, che dicono: “Io non ci capisco niente, ma i ragazzi...” e poi ti danno lezioni sul mondo. “Se non ci capisci niente, allora sta' zitto, e lascia parlare quelli della tua generazione – non sono pochi – che invece ci capiscono qualcosa!”
A proposito, botta di fortuna: ho superato il livello 6-11 di Angry Birds!

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Futuro Dgitale che abbiamo inventato 3

giovedì 12 luglio 2012

Parole nei libri come farfalle


In realtà, nella mia difficoltà a tenere questo blog con regolarità non gioca solo il fatto che, a differenza che per “Bambini Oggi”, non ho più un contratto che mi vincola a un numero minimo di articoli al mese. Affrontando certi argomenti, capita spesso che vado a toccare certi nervi scoperti, personali e professionali, dovuti alla mia marginalità strutturale in un contesto in cui pure credo sinceramente di sapermi muovere a livelli di assoluto valore.
Del resto, il professore spagnolo che assomigliava un po' al Sean Connery Ramirez di Highlander , come un saggio maestro di immortali, me lo aveva detto: «Tu lavori troppo bene... lavorerai poco!»
Così, quando rosico, succede per esempio che faccio fatica a guardare i racconti e i romanzi degli altri senza pensare a tutti quelli che non ho pubblicato io... Ne rimarrà uno solo? Ma no dai, e oggi eventualmente c'è la rete!

Un divano per 12” è una serie di Giunti per bambini intorno all'argomento delle famiglie allargate.
Delicatezza, umorismo, genitori separati, mamme in carriera, nonne che vivono sugli alberi...
Citazione quasi a caso, da Un ciclone in salotto, di Elisa Puricelli Guerra. Dopo il lungo viaggio silenzioso in treno verso Milano, dove, a causa della opportunità di lavoro della mamma, Leo andrà ad abitare con il papà, «le parole hanno cominciato a sgorgargli dalla bocca come centinaia di farfalle rimaste prigioniere in una caverna».
L'argomento è attuale, e poteva anche essere trattato in quel modo ammiccante agli stereotipi che in anni recenti ha portato in auge tanti “faccendieri” della cultura per bambini (scusate, i nervi scoperti!) E invece si parla di cose vere con parole vere... come farfalle!
«La borsetta della mamma comincia ad agitarsi tutta, salta a destra e a sinistra sul sedile come se avesse un attacco di rabbia!»
Durante un lungo anno glorioso di attività in cui il teatro e il video ruotavano sempre e comunque attorno ai libri, da toccare, sfogliare, annusare, se ce ne fosse stato bisogno ne ho avuto ampia conferma: ai bambini, i libri piacciono sempre moltissimo. Siamo noi che a volte ci facciamo degli strani problemi.
E all'ora, non con l'iPad o il telefonino, o il mega schermi TV HD 3D interattivo, ma proprio con il buon vecchio libro di carta: a tutti, buona lettura!

lunedì 9 luglio 2012

Il computer e la bici: il futuro digitale che abbiamo inventato, 1


Vecchio tachimetro da bici in vendita su eBay
Quando ero ragazzo, i contachilometri per bici erano scomodi e macchinosi, e facevano attrito con i raggi. Nobbuono! Con il mio gruppo, senza quasi allenamento si andava da Brescia a trovare gli amici a Limone del Garda, o si scollinava con adolescente incoscienza su dalla Val Trompia alla Val Sabbia, e poi risalire di nuovo, se si voleva tornare a casa risparmiando un giro di ulteriori 40 km... Sulle cime, si misuravano distacchi peggio che lo Stelvio o il Tour Malé, e io i più forti di solito li lasciavo andare dopo il secondo tornante. Non dico la sorpresa, dopo un mese passato a pestare i piedi al “CAR”, quella volta che in salita me li ero ritrovati tutti dietro, e non stavo neanche facendo fatica...
Alla nostra generazione mancavano i computer da bici, mancava il GPS per misurare gli allenamenti. E per questo li abbiamo inventati, e sappiamo come usarli!

Orologio analogico su telefonino digitale
Che tipo di "competenza" richiede?


Oltre i luoghi comuni basati sul nulla, di cui spesso ci riempiamo la bocca e le orecchie, vorrei suggerire qui alcune osservazioni empiriche sull'uso dei mezzi “digitali” da parte delle persone di una certa età rispetto ai più giovani. Sul navigatore per auto per esempio, scopriremmo probabilmente che, se qualcosa non va, sono i ragazzi quelli che si perdono! Oppure, che gli adulti “digitalizzati” usano sistematicamente il telefonino come sveglia (è così comodo!), mentre la maggior parte dei “nativi” la mattina preferisce farsi chiamare dalla mamma. Ho scritto poi “digitali” tra virgolette perché, rispetto agli anni Ottanta o Novanta, sono sempre meno le differenze operative tra uno mezzo digitale e uno analogico e anzi, i mezzi “digitali” di oggi si usano sempre più sostanzialmente in modo analogico (alzi la mano chi sa davvero cosa vuol dire “digitale”?)

Da ragazzo non potevo e ora lo faccio. Osservo sullo schermo il mio percorso in bici: la mappa stradale, la visione satellitare, l'altitudine, e confronto la velocità e il tempo per chilometro nei diversi settori rilevati in giorni diversi. Ci posso aggiungere anche fotografie che, scattate lungo la via col telefonino nel tempo del rilevamento GPS, vengono assegnate automaticamente e servono a ricordare, o a comunicare agli amici, i panorami della gita.
Possibile inchiesta interessante: qual è l'età media degli utenti di Sport Tracker, o Endomondo?

Il futuro digitale che abbiamo inventato, 2
Il futuro digitale che abbiamo inventato, 3
  

martedì 3 luglio 2012

Somos documentalistas: i video dei bambini dall'Avana


Ci sono aspetti della globalizzazione che non richiamano necessariamente a scenari inquietanti, economici e politici. Incontri che in realtà sono sempre avvenuti nella storia, tra umani di provenienza diversa, capaci di comunicare, intendersi, collaborare oltre le barriere etniche e linguistiche, oggi possono avere, rispetto al passato, occasioni molto maggiori e tempi molto più rapidi.
Già ho accennato qui al bell'incontro pochi giorni fa dalle parti di Brescia, nei laboratori video tra i bambini e i ragazzi serbi e quelli italiani (ma in un gruppo, per un curioso ma significativo concorso di circostanze, gli “italiani” non figli di immigrati erano 2 su 15!)
E oggi sono qui che sto guardando i video che mi sono appena arrivati, realizzati dai bambini dell'Avana Vecchia durante un laboratorio condotto da Maira Samada Guerra, di cui io sono “consulente” a distanza.
Volendo, oggi si può fare rete in modo significativo e produrre dal basso, a costi quasi irrisori. E la battaglia tutta politica è proprio farlo capire alla gente, abituata, nei nostri paesi dove la tecnologia si identifica in larga misura con le suggestioni del mercato, quasi solo a consumare.

A Cuba, almeno quello del consumo è un problema che per ora si pone relativamente. I bambini però conoscono la TV e sono molto pronti, come in diverse occasioni ho potuto verificare di persona, ad usare il video e il computer in modo appropriato ed efficace.
Nei brevi documentari, nonostante il lavoro principale di Maira sia la televisione, l'aspetto tecnico non è enfatizzato, ma ci si è preoccupati soprattutto che i bambini utilizzassero il mezzo per raccontare la realtà che conoscono, il loro ambiente di vita, i luoghi, le persone, le attività. Ci sono riprese stilisticamente “corrette” e altre più mosse e apparentemente casuali, ma sempre all'interno di un piccolo apparato di produzione completo e consapevole: assistenti alle riprese, sonorizzazione e musica, montaggio, ringraziamenti. Una bambina o un bambino firmano la sceneggiatura, le riprese e la regia, dopo che sono andati con il video a osservare il loro mondo reale, la casa, la famiglia, la scuola, lo sport.
Il video cioè innanzitutto come uno strumento facile, economico e potente per conoscere meglio se stessi e la propria realtà. Che è poi quello che potrebbe e credo dovrebbe essenzialmente essere oggi, almeno da un punto di vista educativo, più che un linguaggio a parte da “imparare” (come era necessariamente in passato, quando era tecnicamente inaccessibile alle persone comuni), o un facoltativo attrezzo da “tempo libero” (della cui potenza siamo del tutto all'oscuro, anche quando lo maneggiamo tutti i giorni, senza coscienza e senza ambizione).
Per i bambini soprattutto, meno condizionati degli adulti da incrostazioni ideologiche, è un mezzo straordinario per conoscersi anche da lontano, attraverso ambienti e paesi diversi. Perché poi poche cose interessano i bambini veri in un video che vedere altri bambini veri. E' una cosa che verifico personalmente con assoluta regolarità da oltre 30 anni, e che purtroppo non sta nel senso comune, e nemmeno in tanta letteratura “ufficiale”. Forse perché nella televisione “normale”, i bambini veri siamo abituati da sempre a non vederli quasi mai!