domenica 31 agosto 2014

La rete, il pensiero, l’azione, e il mondo che non abbiamo capito come cambiare

Sto raccogliendo i vari link alle persone che potrebbero essere interessate a una iniziativa che si sta preparando. Contatti Facebook, Twitter, Linkedin, Google +, Skype, Messenger (non butto via mai niente!), per non parlare delle varie liste, agendine, elenchi ad hoc di partecipanti ad attività e iniziative passate.
Penso alle cose che fanno, alla storia, alla qualità di tutte queste persone, ognuno con i suoi gruppi, e progetti, con la sua sfilza di collegamenti e “amici”…
Una forza potenzialmente immensa, e siamo tutti lì, virtualmente in grado di collegarci e di fare…
Storicamente, il grosso miracolo del Social Web, mentre dava l’opportunità alle persone comuni, a chiunque, di cambiare se davvero lo volessero il mondo, è stato paraddosalmente la capacità nello stesso tempo di nascondere questa opportunità, in modo che nessuno se ne rendesse conto!

Continuiamo a farci gli affari nostri, magari li raccontiamo in rete, spesso anche quando non sarebbe proprio il caso, e nei gruppi discutiamo, litighiamo, cazzeggiamo, ma manca desolatamente la capacità di incidere davvero nella realtà. Nonostante il numero e la qualità, ci sentiamo soli, isolati e indifesi nei confronti della politica, che decide per esempio delle riforme della scuola, e del mercato, che stabilisce quali aggeggi dobbiamo usare e per fare che cosa.

Quella incredibile capacità di innovazione rappresentata dalla condivisione attiva che, in presenza di una rete infinitamente meno efficiente e diffusa, negli anni Settanta e Novanta riuscì a far cambiare radicalmente l’orizzonte industriale di imperi come IBM e Microsoft costretti, a causa di un movimento che cresceva “dal basso”, loro malgrado a “convertirsi” al personal computer e a internet oggi, sembra essersi irrimediabilmente allontanata dal nostro orizzonte.
Continuiamo a fare essenzialmente le cose che facevamo prima, credendo che l’innovazione sia solo una questione di digitalizzarle e metterle in rete. Così ebook, e-commerce, e-learning, webinar, oltre che possibilità di svolgere da casa in rete cose come comprare i biglietti del treno o dell’aereo, o farsi rilasciare certificati dalla pubblica amministrazione, e così via . A volte è davvero utile e c’è un senso, a volte meno, a volte c’è anche tanta ideologia (es. qualcuno spieghi perché, se la scuola è a due passi, io adesso devo iscrivere mio figlio on line?)

Quello che propria manca, è quella sensazione di “potenza”, che a me per esempio viene istintivamente, solo a scorrere l’elenco dei miei contatti. Anzi, non solo nelle persone datate come me, che magari hanno imparato tardi a destreggiarsi con i mezzi, ma anche in quelli che qualche buontempone ancora chiama “nativi digitali”, predomina un senso di diffuso fatalismo, di ineluttabilità. Come se la lezione prevalente fosse che a decidere sarà sempre e comunque qualcun altro.
È l’apoteosi del mondo digitale a rovescio, quei gesti e quell’atteggiamento che, interiorizzati, fermano qualsiasi possibile rivoluzione o vero cambiamento. Perché se per smettere ti abituai a schiacciare un pulsante dove c’è scritto “start”, ti si sballa comunque un po’ tutto il tuo sistema di pensamento originale e, dovendo “pensare” in un mondo non tuo, solo una minoranza corre il rischio di avere davvero delle idee!

Sta per uscire il nuovo iPhone. Leggo (e dire che la Apple aveva finora felicemente resistito alla moda imperante del gigantismo!) che quello “piccolo” avrà uno schermo da 4,7 pollici! Ma stiamo tutti impazzendo? Il telefono ormai è quella cosa che non sta in tasca, non si riesce quasi a tenere all'orecchio, che comunque non serve per i contenuti multimediali se non per le emergenze (resta in ogni caso troppo piccolo), ma che quando lo tiri fuori durante la riunione o in metropolitana, di sicuro tutti lo vedono, e ti ammirano! La quintessenza dell’apparire e della sostanziale inutilità!

E sulla stampa, sul web, nei blog, perfino in certe lezioni all’università, ancora c’è chi parla di “tecnologia” (per carità, c’è anche quella, e non poca! Ma quanto conta?), senza neppure provare a distinguerla dal marketing!


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lunedì 25 agosto 2014

Scenari di scuola digitale: il pc divergente e il tablet convergente?

Prima di tornare nell’agone educativo, pedagogico e mediatico del nuovo anno scolastico (che si svolge a cavallo dei due anni solari, se qualcuno avesse informato la ministra Fornero!), sto ripassando un po’ di teoria.
Viviamo nel paradosso che, dopo decenni di studi di ad altissimo livello sull’età evolutiva, l’apprendimento, la conoscenza, comprovati da innumerevoli esperienze, quando si fa una “riforma della scuola”, non solo in Italia, (sono curioso comunque di vedere adesso, sperando di aver capito male certe “scoperte” ministeriali delle scorse settimane, che cosa si inventerà il governo Renzi!), i politici di turno regolarmente sembrano applicare per lo più criteri che si rifanno a un trito e tradizionale senso comune (come quel noto “costituzionalista” che si preoccupava di ciò che gli insegnanti comunisti inculcano nei nostri poveri bambini!). Al punto che il libro collettivo a cui ho partecipato l’altr’anno in America con “La Scuola che Funziona”, a sottolineare la marginalità delle posizioni scientificamente informate in campo educativo, faceva parte di un progetto chiamato “Gocce nel mare”!
Leggere, documentarsi dunque, ripensare, se possibile…

In un ebook dal titolo evocativo, A scuola con il Tetris, di Edyta Slomka , trovo una sintesi semplice ma efficace del perché il personal computer potrebbe rappresentare una novità rivoluzionaria nel panorama educativo. Non si parte una volta tanto dalla confusione oggi imperante tra tecnologia e mercato, ma più seriamente dai modi in cui l’essere umano impara le cose. In pratica, nella tradizionale dicotomia tra l’apprendimento senso motorio (proprio del bambino piccolo, ma tipico per es. anche della bottega artigiana, che si svolge nella vita reale, immediato, permanente, ma limitato all’esperienza personale diretta) e l’apprendimento simbolico ricostruttivo (come a scuola, o attraverso la lettura e i media, potenzialmente vastissimo, ma difficile da memorizzare e ordinare, perché si svolge principalmente nella mente), il personal computer, con le sue capacità di simulazione e risposta interattiva, stabilisce un possibile collegamento.  Le due forme di apprendimento cioè, attraverso un uso attivo e consapevole della macchine digitali di oggi (nelle loro varie manifestazioni, inclusi i videogiochi) possono realizzarsi insieme, spalancando orizzonti prima impensabili alla conoscenza, alla sua condivisione, alla riflessione collettiva su come si conosce.
Osserva l’autrice: «Con il computer si apre per la prima volta la strada per poter integrare la percezione e l’azione».  «Il computer diviene una potente macchina metacognitiva che consente al bambino di riflettere e conoscere i suoi processi mentali e le strategie più adeguate a ciascuno».
Cosa non da poco, in un momento storico e culturale in cui, in presenza di un sapere che si rinnova a una velocità vorticosa, “imparare a imparare” diventa una condizione essenziale di alfabetizzazione, nella società dell’informazione e della conoscenza.

Certo, macchine che in modo così esplicito propongono il passaggio da un sistema educativo basato tuttora principalmente sulla trasmissione di contenuti a un altro che fa perno sulla metacognizione, mettono anche paura. E forse varrebbe la pena di domandarsi come mai nella scuola, dopo decenni in cui i personal computer sono stati ammessi con grande fatica, per lo più segregati in luoghi in cui non potessero fare danni, come le aule informatiche, a un certo punto, anche tra molti refrattari tecnologici, siano sorti tanti cori entusiasti all’apparire di LIM e tablet, a cantare unanimi l’indispensabile “digitalizzazione”. Forse perché finalmente molti vi riconoscevano, rivisitati ed elettronici ma comunque ancora presenti e rassicuranti, il libro e la lavagna?

Come a dire che allora in fondo, si tratta soltanto di imparare un nuovo modo e aggiornato di fare lezione!


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giovedì 14 agosto 2014

Il Gufo, il Sasso, il Tangram (poi quel suicidio che nessuno si aspettava)



Vecchia Gufa guarda con quei suoi occhi grandi, dalla voliera dove il destino l’ha portata a trascorrere i suoi anni, in compagnia del suo vecchio gufo, perché fuori nel monte e nel parco non sarebbero capaci di sopravvivere. Fuori il Dentedel Lupo e le altre cime cambiano più volte di colore nel corso del giorno, da argento pallido a rosso vivo, e oggi c’è anche la luna piena. Bellissimo! La Scuola Verde e il Museodelle Acque nel parco del Gran Sasso sono stati quella che se fossi famoso e rilasciassi interviste, probabilmente definirei una “esperienza straordinaria” (oddio!), tra attività e persone che ho avuto il piacere di incontrare, per fortuna ma anche e soprattutto per scelta.

Il Piccolo Sasso che Jörg ha incominciato a scolpire in realtà peserà una tonnellata e mezza, roccia mista ricca di vene che un colpo sbagliato di scalpello la potrebbe mandare in frantumi. Me ne sono partito verso casa quando, girando dietro il sasso e attraversando la nuvola di polvere, la prima impronta della mano dello scultore lasciava già intravedere un’anteprima del possibile risultato. Vedrò le fotografie, il video che stanno girando, con la vecchia e poderosa videocamera professionale e una minuscola sbeffeggiante actioncam 4 K.

Sul treno la signora a fianco, che prima della partenza ha conversato a lungo nel linguaggio dei muti attraverso il finestrino con un’altra signora che la accompagnava, sprofonda per tutta la durata del viaggio nei videogiochi del suo iPad, e io che, sarà per la leggerezza e comodità dell’aggeggio, sarà per le offerte speciali, molto di recente mi sono convertito pur io al tablet da viaggio, prima mi ci leggo un libro e poi provo a districarmi nelle infinite combinazioni del Tangram.

Il punto di vista! A parte la geometria e la matematica, questo eccezionale concentrato di sapienza in 7 pezzi (prodotto non a caso di secoli di umano pensiero, e non della moda sugli scaffali di un supermercato, per “rivoluzioni” acclamate ogni sei mesi, meditate gente, meditate!) è una forte metafora per chi ci gioca di come davvero il mondo di ognuno in molti casi può cambiare, a seconda di come siamo capaci noi di cambiare il nostro punto di vista. I pezzi vanno osservati, immaginati, spostati, accomodati, e la figura prima impossibile diventa come d’incanto semplice ed evidente. Meraviglia della mente!

Durante il viaggio, per telefono, apprendo del suicidiodi Robin Williams. Non spendo qui tante parole, prendo quasi a caso dalla rete emozionie pensieri che posso fare miei, ma penso a quella brutta bestia della depressione, che colpisce anche chi dà un’immagine di sé (in questo caso non tanto nei film, quanto nelle apparizioni pubbliche, in televisione nei talk show, ambienti che potrebbero essere più “veri”) che davvero non te la farebbe immaginare. Depressione – non importa se stai bene o male con la salute, il lavoro, l’amore, in un mondo in cui spesso sembra che solo alla stupidità e all’arroganza sia concesso di camminare soddisfatte a testa alta – è probabilmente proprio quando non riesci più a cambiare il tuo punto di vista, quando la realtà diventa una pietra che ti convinci irrimediabilmente che non puoi e non potrai più scolpire…   



mercoledì 6 agosto 2014

Riepilogo d’agosto (e l’informatica della lumaca)

Il mito della velocità è una vecchia idea futurista che ha cent’anni, legata a un “futuro” di macchine immaginate molto prima che, negli anni Settanta del secolo scorso, ad alcuni ragazzi venisse in mente di mettere un microprocessore dentro in una scatola. L’invenzione collettiva e condivisa del personal computer rischiava di scombinare una fantascienza immanente e autoritaria, di cervelloni artificiali ambivalenti che da una parte schiacciando un bottone risolvono per noi qualsiasi cosa e dall’altra spiano ogni istante della nostra vita, avviluppandoci inesorabilmente nella rete gestita da un Grande Fratello inconoscibile. C’era un che di anacronisticamente democratico nei computer personali, così come nel web
che nasceva dal basso,  per “aiutare la gente a lavorare”, prima che diventasse principalmente un sistematico veicolo di pubblicità: il rischio concreto era che le persone capissero che, utilizzando in modo appropriato e cosciente certi mezzi, avrebbero potuto prendere il controllo della società dell’informazione, crescere protagonisti e cittadini attivi e non solo consumatori in balia del marketing

Approfitto della pause d’agosto per mettere un po’ d’ordine: le carte sempre troppe, sempre da mettere in qualche modo in ordine o da buttare; gli archivi digitali, anche loro irrimediabilmente affastellati, per poca cura o per fretta, divisi tra troppe memorie e dispositivi, pc, telefono, tablet, dischi rigidi esterni che fanno fatica ad andare d’accordo tra loro (fortuna che uso le chiavette esclusivamente per le copie, e il cloud solo per condividere e non per archiviare!); e poi le macchine, l’amplificatore AV con tutte le sue connessioni da riconoscere e ricordare, i collegamenti con gli schermi, il pc tower, i lettori di dischi, i registratori audio e video con le loro cassette obsolete ma piene di cose che non è che siccome la tecnologia è cambiata posso fare finta che non siano mai esistite…

C’è l’hardware a questo mondo, c’è il software, su cui si concentra gran parte dell’attenzione degli umani, che non a caso per la maggior parte non ci capiscono una cippa, di hardware come si software. E poi ci sono le immagini, i suoni, i testi, le parole, il pensiero e la vita delle persone, che una malintesa idea “futurista” (oggi la chiamano “digitale”, ma quanto sa comunque di vecchio!) vorrebbe validi solo se appoggiati sull’ultimo supporto di moda. Che oggi poi significa consegnati, nella “nuvola”, nelle mani di amorevoli imprese multinazionali che li amministrano per noi.
Mentre il pianeta usa e getta, che ha memoria solo di quanto stabilisce il dio Mercato, vede un rincorrersi di crisi economiche, politiche, sociali, ambientali senza precedenza e, nella ridondanza assoluta di mezzi di (teorica) comunicazione, assiste impotente a una difficoltà ancora più assoluta di comunicazione reale tra gli umani, singoli e gruppi, e al trionfo di individualismo, intolleranza, fanatismo, integralismo.

Metto dunque queste quattro considerazioni nel blog e torno, passin passetto, alle mie carte e ai miei aggeggi. Ho libera una connessione component video tra l’amplificatore e il monitor, che mi potrebbe servire per vederci i contenuti analogici. Dunque, dove posso andarlo a cercare oggi un cavo component video?…