Il
concerto inizia con un canto di questua inglese del 1800,
dagli echi celtici,
bellissimo, bene eseguito strumentalmente e anche ben cantato. Anche
i brani che seguono sono su quella falsariga, spaziando nella
suggestiva tradizione della musica popolare dell'Europa nord
occidentale, ma... non è un piacere, i suoni arrivano confusi
e impastati, le orecchie alla lunga fanno male! Sarà
la pessima acustica delle chiese di fine Novecento, dagli
esagerati muri di cemento; saranno le due piccole casse acustiche a
cui affluisce la gran quantità di microfoni, che a uno sguardo
superficiale e maligno sembrano più adatte a un comizio sindacale
improvvisato che a non un concerto; sarà il mixer posizionato appena davanti ai musicisti, alla faccia di quello che sentiamo noi
venti metri più indietro. Comunque sia, l'effetto finale è
disastroso.
Il
“rumore” a cui mi riferisco nel titolo non è solo quello del
concerto dell'altra sera, ma piuttosto lo intenderei – più o meno
come in elettronica
e in informatica - come quel qualcosa che “sporca” un messaggio
e lo modifica, anche radicalmente, nel suo percorso dall'emittente
al ricevente. Cioè: tu mi dici una cosa e io ne capisco un'altra!
Nelle
prime file, durante il concerto, intravedo telefonini forse di
ultima generazione, comunque potenti e luminosi, con cui alcune
signore fanno i video, tutti tenuti rigorosamente verticali,
così che la metà alta dello schermo è sistematicamente sprecata a
mostrare le pareti vuote della chiesa, mentre nella stretta
inquadratura ci stanno solo una cantante o un suonatore per volta e
gli altri bisogna andare a cercali con movimenti continui: video
rassegnati a non rendere l'insieme di quello che succede, a non apparire mai decentemente in un televisore, quando
basterebbe girare l'aggeggio in orizzontale per sfruttare l'ampia
visione del grandangolo e per rendere disponibile il tutto magari anche a un montaggio con Steven Spielberg!
Non
è poi solo un discorso di qualità del messaggio o del canale
di comunicazione (il video in HD, la banda larga), ma soprattutto di
codici che occorre avere i comune, di significati denotati
(precisi, univoci, quasi inequivocabili) e connotati (quelli
viceversa, anche molto diversi l'uno dall'altro, che i singoli o i
gruppi attribuiscono, per storie loro personali) che ogni messaggio
si porta dietro.
Perché
in un mondo come il nostro in cui la ridondanza e precarietà dei
mezzi di comunicazione (le cose si buttano via ogni pochi mesi)
mettono spesso in seria difficoltà gli umani che quei mezzi si
trovano a utilizzare, alla fine il rumore, in senso esteso,
analogico, evocativo, è forse la cifra più caratteristica della
comunicazione oggi.
Se
no non si spiegherebbe come, in presenza di mezzi non solo facili
e potenti come mai nella storia, ma praticamente ormai
nelle mani di tutti, la comunicazione tra le persone,
a tutti i livelli, dai più personali ai più politici, appaia
desolatamente povera e difficile.
E
non si spiegherebbe l'assuefazione, la rassegnazione, l'abdicazione
dei sensi e della ragione di fronte a concerti cacofonici, a video e
film dalle immagini
deformate, ad aggeggi digitali utilizzati a volte con lo stesso
atteggiamento dei cartoni animati “I pronipoti” degli anni
Sessanta!
Cioè
abbiamo in mano attrezzi molto spesso di una bellezza e
qualità assolute (le voci e gli strumenti musicali, così come
certe macchine elettroniche e digitali - Apple stores ormai più
raffinati di Swarovski! - e software dalle possibilità
mirabolanti), ma le modalità con cui siamo ormai abituati a
consumarli, oggetti ed eventi, per lo più superficialmente, passivamente, perché
“si deve” più che per convinzione, fa sì che ci sentiamo
appagati dal semplice fatto di “usarli”, spesso senza
nemmeno la cura di verificare se il risultato finale sia
conforme alla qualità degli attrezzi o alle nostre intenzioni.
C'è
troppo di tutto, non riusciamo a starci dietro, ci vergogniamo ad
ammetterlo, e ci adeguiamo alle mode, ai costumi del branco.
Mentre la qualità
scivola sempre più in basso, come la immagini spazzatura,
fotografie e video, che tolgono visibilità a quelle pure belle che
qualcuno per fortuna si ostina a pubblicare nei social network, come
l'assalto generalmente vincente dei mediocri alla cultura,
alla società civile, alla politica, con risultati che – comunque
la si veda e la si pensi – rendono la generale insoddisfazione
l'altra cifra caratteristica, insieme con il rumore, del tempo
presente.
Ricerca
eccessiva della qualità dei singoli oggetti (sempre più belli,
da rimirare
in modo narcisistico, da specchiarsi) e rinuncia generale alla
qualità dei risultati (sempre più irrilevanti e deludenti).
Metafora riuscita di una società bipolare
in cui, per fare un altro esempio, mentre si stabiliscono norme
igieniche e sanitarie a volte ossessive nelle mense delle
scuole o degli ospedali, si lascia che tutti veniamo avvelenati un
poco ogni giorno dall'aria, dall'acqua, dall'alimentazione, lasciate
in balia della legge inappellabile del profitto.
Il
giorno dopo però, altro evento musicale: chiesa
rinascimentale, come pure i cori, del 1500-1600. Niente
microfoni o amplificazione, voci limpide e pulite e perfino, da
ogni postazione, nonostante le dimensioni ragguardevoli
dell'edificio, si capiscono distintamente le parole, pur col quel
marcato riverbero che nei software di elaborazione sonora non a caso
chiamano “effetto cattedrale”. A parte alcune parti in cui
interviene una dulciana
rinascimentale, l'antenato del fagotto,
l'unico strumento che accompagna è l'organo, il gran
padrone di casa, il signore di quella musica.
Io
sto in piedi e mi muovo, un po' perché fa un freddo terribile (non
c'è alcuna forma di riscaldamento e siamo probabilmente sotto zero)
e un po' anche perché mi piace ascoltare da diversi punti della
chiesa, osservando anche i soffitti, i dipinti, gli altari: in
quell'ambiente, quella musica è perfetta, oggi come 500 anni fa!
Il pubblico è coinvolto e attento e se ne sta per tutto il tempo in
silenzio, per intervenire solo alla fine con un applauso lungo, forse
commosso. Clamoroso, ma perfino i video con i telefonini, in
un contesto così generalmente “giusto”, vengono girati tutti
orizzontali...
No,
per la verità no, non tutti! Un signore proprio all'ultimo momento,
con il suo smartphone tenuto in piedi, ci riporta dalla magia senza
età alla realtà del presente. Ma forse sarebbe stato chiedere
troppo!
photo credit: Rosa Menkman <a href="http://www.flickr.com/photos/68716054@N00/5350243675">PNG</a> via <a href="http://photopin.com">photopin</a> <a href="https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/">(license)</a>
photo credit: Martin uit Utrecht <a href="http://www.flickr.com/photos/79847371@N00/25406593593">MacBook Pro 15" concept</a> via <a href="http://photopin.com">photopin</a> <a href="https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/">(license)</a>
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photo credit: Martin uit Utrecht <a href="http://www.flickr.com/photos/79847371@N00/25406593593">MacBook Pro 15" concept</a> via <a href="http://photopin.com">photopin</a> <a href="https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/">(license)</a>
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