Copio
e incollo, con qualche aggiustamento, cose scritte da me e altri
giorni fa in una discussione su Facebook, dove tutti argomentano di
tutto e dopo pochi giorni non si riesce a trovare più niente, con
buona pace del ritornello che recita “in internet non si perde
nulla!” Certo, ma le cose dove stanno?
Questa
sistematica dispersione della memoria contribuisce a fare sì
che, di fatto il riduzionismo e il "presentismo"
siano la cifra, orientata da un marketing di corto respiro, di un
tempo senza storia come il nostro. È presto, o tardi, per ragionare,
capire insieme, invertire certe tendenze? Se l'uno per cento
dell'umanità partecipa
della ricchezza del pianeta, il “quanto per cento”
partecipa della formazione della cultura? Quante meravigliose
idee "digitali", fuori dalle fiere e dal dibattito
di una ristrettissima élite, oltretutto divisa in tanti
scompartimenti stagni, arrivano al pubblico che
consuma e spreca hardware e software come fossero detersivi?
Il
grande problema dell'oggi si riassume in una parola:
partecipazione. I mezzi tecnici la consentirebbero a
livelli mai visti nella storia, a tutti, anche ai bambini. Le consuetudini di pensiero e
l'asservimento a leggi di mercato vecchie di secoli la negano,
e con essa la libertà dei popoli, la democrazia, la
convivenza civile, la speranza stessa di un futuro del pianeta.
La
mia idea banale - forse perché lavoro con i bambini- è che
semplicemente riportando le persone al centro dell'attenzione,
come per "miracolo" tutto potrebbe cambiare. E anche magari
individuando e scegliendo un ambiente di discussione tra noi meno
labile e dispersivo dei social network commerciali!
Riprendevo
un post di Stefano Penge che scriveva, dopo aver ascoltato
l'intervista a Claudio Ambrosini, Paolo Ferri e Paolo Legrenzi
(su Fahreneit, Radio 3): Bella
(e perduta) scrittura:
«Mi
colpisce molto che la scrittura sia concepita e discussa nelle sue
valenze motorie, estetiche, neurocognitive, e che
l'opposizione centrale sia tra gli elementi frammentati (le lettere
dello stampatello, o della tastiera) e gli elementi legati (il
corsivo). E' vero, si parla di apprendimento della scrittura. Io
avrei detto "apprendimento di una tecnica di scrittura":
quella più diffusa nell'era dell'inchiostro e della carta. Prima, le
tecniche erano altre. Dopo (oggi?) saranno e sono altre. La
scrittura, però, a me ignorantone sembrava essere altro. Scrittura
è un insieme di pratiche di fissazione, trasmissione,
conservazione del pensiero linguistico. E' composta di tecniche,
di azioni motorie, ma anche di azioni mentali, di
ricordi, di proiezioni, di ipotesi, di ritorni all'indietro. Insomma
uno scrive per comunicare, a se stessi o a qualcun altro, non
per esercitare la mano (altrimenti, disegna scarabocchi). E la
cosa difficile, visto che si impara a parlare prima che a scrivere, è
scoprire come fare: come tradurre pensieri in parole (nomi?
verbi?), come adattarle (declinare, coniugare), come ordinare le
parole per arrivare a esprimere qualcosa che, mentre la si mette in
parole, cambia; e tutto questo per arrivare a qualcosa che sia
accettabile e comprensibile all'esterno.
Ora mi sarebbe piaciuto che nel dibattito ci si fosse chiesti: ma usare un software (non un computer o un telefono), cioè un ambiente inventato apposta per supportare tutte queste operazioni - con correttori, dizionari, suggerimenti, e poi font, stili, dimensioni, impaginazioni - facilita l'apprendimento della scrittura, o no?
Ora mi sarebbe piaciuto che nel dibattito ci si fosse chiesti: ma usare un software (non un computer o un telefono), cioè un ambiente inventato apposta per supportare tutte queste operazioni - con correttori, dizionari, suggerimenti, e poi font, stili, dimensioni, impaginazioni - facilita l'apprendimento della scrittura, o no?
(…)
Che impatto cognitivo ed emotivo ad, ad esempio, la
possibilità di correggere, o quella di riprendere un testo a
distanza di tempo e adattarlo, o quella di rimpaginarlo per un uso
diverso? O ancora, la possibilità di lavorare in più persone sullo
stesso testo, magari a distanza? E' meglio, è peggio, e soprattutto,
cosa cambia?
Ci saranno stati, in passato, dei serissimi studi inglesi in proposito. Che andrebbero ripetuti man mano che cambiano gli strumenti, i modelli, i contesti. Oggi però - dall'intervista agli articoli Ambrosini, Belardelli e altri questo mi pare di poter dire - ci si concentra solo su corsivo e smartphone. Mah.»
Ci saranno stati, in passato, dei serissimi studi inglesi in proposito. Che andrebbero ripetuti man mano che cambiano gli strumenti, i modelli, i contesti. Oggi però - dall'intervista agli articoli Ambrosini, Belardelli e altri questo mi pare di poter dire - ci si concentra solo su corsivo e smartphone. Mah.»
Intanto,
da molti anni e tutto sommato
senza troppo rumore, gli
aggeggi
digitali e il software vengono
spesso utilizzati come utili
“strumenti
per una didattica inclusiva”,
in soccorso a difficoltà
di vario genere nella lettura e la scrittura, dalla dislessia alla
cecità, per i soggetti
direttamente coinvolti e per chi, come educatori e genitori, ha a che
fare con loro.
photo credit: *maya* <a href="http://www.flickr.com/photos/12663367@N00/15431261013">Fushimi Inari Taisha</a> via <a href="http://photopin.com">photopin</a> <a href="https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/">(license)</a>
photo credit: *maya* <a href="http://www.flickr.com/photos/12663367@N00/15431261013">Fushimi Inari Taisha</a> via <a href="http://photopin.com">photopin</a> <a href="https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/">(license)</a>