Rieccomi
dopo diversi mesi su questo blog – vediamo se ancora qualcuno verrà
a leggermi, già erano così pochi prima! - e la scusa per la
latitanza è quella classica, con una simpatica variante: tra le
tante altre cose che si fanno per sopravvivere, stavo scrivendo un
libro, per una casa editrice americana.
Dopo
l'ultimo serrato scambio di email, ho consegnato tutto, e il titolo è
già in catalogo e si può prenotare on line a un prezzo da testo
accademico dei loro, esagerato e per la maggioranza di noi
decisamente inaccessibile (faccina che ride!):
Non
sto a raccontare tutta la storia, come ci sono arrivato, perché una
cosa del genere in America e non qui in Italia, e tutte le vicende dolci e
amare connesse. E nemmeno scrivo più di tanto – giusto questo
accenno – al fatto che, a parte l'idea generale che avevo proposto,
non volevo pensare a come sarei riuscito a scrivere in poco tempo un
libro intero secondo le severe regole editoriali loro, direttamente
in inglese, e dal mio punto di vista notoriamente “non-conventional”.
Quando è arrivata l'email con il responso dei revisori, temevo che
mi massacrassero e invece a quanto pare no, la cosa va!
Dunque,
in sintesi, la storia è più o meno questa.
Per
vedere l'alba della rivoluzione digitale nel mondo globalizzato, è
utile fare un salto indietro agli 60 e 70: l'uomo a una
dimensione ha paura del futuro, e allora la musica rock, le rivolte degli studenti,
il movimento delle donne, sono forse una risposta. Dal mondo dell'educazione (don
Milani per esempio e movimenti come l'animazione teatrale: a scuola
con il corpo!) arrivano soluzioni probabilmente buone anche per i
tempi a venire.
Intanto
la tecnologia diventa popolare. Tra gli anni 70 e 80, i personal
computer e le videocamere mettono a disposizione di tutti gli
strumenti di base per partecipare in modo attivo alla società
dell'informazione.
Ma
l'umanità assuefatta alla televisione sostanzialmente non se ne
accorge, e allora forse è utile guardare ai bambini, che dentro la
tecnologia ci nascono, esseri multimediali in grado di indicare un
ponte verso il futuro, oltre i limiti del sapere trasmissivo e
dell'informazione unidirezionale, verso un mondo possibile di
conoscenze e anche di produzione almeno in parte condivisi.
Osserviamoli come giocano con le videocamere e i computer e gli altri
aggeggi tecnologici (e come continuano a giocare, se non togliamo loro la
possibilità di farlo, anche con i giochi tradizionali, il corpo, la
natura, senza innaturali contrapposizioni), ma soprattutto non
lasciamoli soli, accompagniamoli e prestiamo attenzione al loro
gioco, alle loro domande e risposte, impariamo da loro mentre
facciamo loro da maestri!
Perché
siamo a un difficile bivio tra rivoluzione e mercato, dove vecchi
miti inibiscono nuove opportunità, dove l'assuefazione al consumo,
allo spreco e alla competizione individualistica fine a se stessa
sono ostacoli enormi a un vero cambiamento, al fare e progettare
insieme, con soddisfazione, ma anche con responsabilità.
Perché
tutti oggi siamo produttori, a volte inconsapevoli, di informazione,
ma il nostro approccio al testo e alle immagini, alla rete e ai
dispositivi tecnologici in generale – al di là della retorica e
della pubblicità - è per lo più “disconnesso”. Succede per la
cultura come per il cibo: possiamo agire per fare la nostra parte e
produrre in modo significativo qualcosa in proprio, in condivisione, o comprare tutto
dalle multinazionali!
Consumatori
consapevoli sono anche cittadini attivi, e la partecipazione è una
possibile forte soluzione, individuale e collettiva a molti problemi
politici, economici, sociali e ambientali. Più che di hardware e
software, è una questione di atteggiamento. Servono anche piccoli
esempi, da estendere e moltiplicare, per immaginare, progettare,
costruire e non subire (spesso con angoscia, paura e rassegnazione)
il futuro : il software libero, Wikipedia, le mappe “auto
prodotte”, le reti di condivisione in agricoltura e in industria ma
anche, nel nostro piccolo, il Museo
Virtuale dei Piccoli animali, dal cortile della scuola a
Internet! Una serie di produzioni consapevolmente condivise, per
cittadini completi, non solo “digitali”: per un incontro tra
tecnologia, economia, lavoro e società possibilmente a lieto fine!
Sono
discorsi che a spizzichi, con fatica e poco riscontro cerco di
portare avanti da diversi anni,
anche
in questo blog, o negli interstizi ormai delle discussioni su
facebook, che sempre più sono un inno alla rottamazione delle idee,
anche le più geniali. Li avevo già in parte introdotti anche in
altre pubblicazioni, “saggi” travestiti da manuali
sull'animazione
teatrale e i bambini
e l'ambiente, (cioè, quelli che dovrebbero - secondo il mio
modesto parere, ma anche, vedendo come rispondono, secondo i bambini
e i ragazzi con cui lavoro da decenni - essere i due punti centrali
dell'educazione dei cittadini del terzo millennio, altro che
“coding”!) in cui la tecnologia entra dappertutto (eccome se ci
entra!), però non come un “dovere” o un insieme astratto e a
volte cervellotico di competenze curricolari e adempimenti burocratici, ma come strumento
naturale e potentissimo del fare, estensione dei sensi e della
conoscenza. Cioè, banalmente, la gente, i bambini, le maestre e i
professori la usano, sapendo quello che fanno! (faccina che ride!)