mercoledì 25 maggio 2016

Ci risiamo, con la favola dei “nativi digitali”!

Il prof. Ferri torna a parlarci dei “nativi digitali”, ammonendo noi miscredenti che dobbiamo metterci l'animo in pace, perché esistono! Ha anche pubblicato il link al suo articolo nel mio gruppo facebook “Bambini Oggi Tecnologie” e di questo lo ringrazio.

Dopo di che, vorrei riprendere anch'io qualche considerazione su quel discorso che molti fanno ma che – limiti miei – francamente non riesco a capire: la contrapposizione tra la cultura del libro (che sarebbe la cultura precedente) e quella “digitale”.
È un mio modesto punto di vista, ma lo esprimo così, anch'io in modo lapidario:
  1. Non è vero che la cultura precedente a quella “digitale” si basa sul libro ma – chi in coscienza può affermare qualcosa di diverso? – è un misto di stampa (libri, giornali, rotocalchi) e cultura audiovisiva, radio, cinema e televisione, con una forte prevalenza della televisione.
  2. Parlare di cultura “digitale” non ha senso.
Bambini alla LIM che programmano in LOGO
Mi spiego.
Il libro, la televisione, la radio sono mezzi di comunicazione di pensiero, parole, suoni, immagini. La scrittura, la narrazione orale, il disegno, la musica, la pittura, la scultura, la matematica sono linguaggi di espressione e conoscenza.
Il “digitale”, può essere la traduzione in termini numerici di mezzi e linguaggi precedenti (digitalizzazione), oppure la produzione direttamente secondo modalità numeriche (perché poi “digitale” significa “numerico”, magari molti non lo sanno!) di contenuti che agli utenti finali possono presentarsi in modo sostanzialmente non dissimile dai corrispettivi contenuti analogici (la musica, che sia un vinile, un nastro, un CD, un Mp3, si ascolta comunque con le orecchie!), in altri comportano la necessità di piccoli apprendimenti (per passare per esempio dal libro di carta all'ebook) o ancora inducono comportamenti e “stili conoscitivi” che prima non erano dati (es. l'utilizzo per diverse ore al giorno di aggeggi come gli smartphone, per fare le cose più disparate).

A parte che gli aggeggi digitali in realtà sono diventati popolari da quando sono intuitivi e analogici (la programmazione in linguaggio “C” richiede una vera competenza digitale, l'uso del mouse e del touch screen no!), c'è questa ipotesi per cui ci sarebbero differenze sostanziali e significative tra chi è nato quando gli aggeggi digitali ancora non esistevano e quelli che invece ci sono cresciuti dentro. Di solito ti fanno l'esempio del bimbo di tre anni che usa il tablet e della nonnina che è in crisi con il digitale terrestre! Di nonnini che usano con disinvoltura il tablet e di adolescenti imbranati non ne parlano mai, e già questo è fortemente sospetto. Così come non dicono che l'età media dei frequentatori dei social network è ben più alta di quella dei supposti “nativi”, né che i più giovani preferiscono di gran lunga leggere i libri di carta, piuttosto che gli ebook.Eccetera.

Felini digitali?
Se – osservando per esempio i passeggeri di una metropolitana di ogni età, tutti con le mani e gli occhi sul telefonino - ci sono differenze significative di comportamenti cognitivi riferibili alle generazioni, nella realtà non è dato di saperlo, perché tali comportamenti andrebbero osservati e verificati attraverso indagini vaste ed estremamente approfondite, che nessuno in realtà ha mai fatto. Per portare avanti quelle che restano fondamentalmente teorie, il più delle volte si procede per ipotesi e sillogismi: «Siccome studiano su Internet, quindi...» Quindi che cosa?. Che cosa fanno in realtà, come cercano, come sanno usare i collegamenti, incrociare i dati, elaborare delle sintesi? Davvero si pensa seriamente di poter applicare schemi universali a situazioni assolutamente variabili e imprevedibili, legate alle storie culturali e personali di ognuno, basandosi semplicemente sulla data di nascita?

Quando poi, dalle affermazioni perentorie quanto astratte, i sostenitori dei “nativi” scendono sul terreno degli esempi concreti, non di rado si sfiora il patetico, come quel tale che, di fronte a una platea di adolescenti esterrefatti, non solo affermava la “differenza sostanziale” dello scrivere al computer di un “nativo” e di un “immigrato”: «Perché io poi devo stampare!» (???), ma a un certo punto, aveva anche chiesto con entusiasmo al pubblico dei “nativi”: «Chi di voi si sveglia con il il telefonino?»
Ho alzato la mano solo io che ho 60 anni! Non lo sa quel tale che i bambini e gli adolescenti, la mattina, si fanno chiamare dalla mamma?

Concludo citando una affermazione tristissima e inquietante, ascoltata con le mie orecchie da un relatore durante un convegno in cui pure gente brava e preparata, addirittura riconosciuti “guru”, avevano espresso dubbi e perplessità sul fatto che abbia un senso parlare di “nativi digitali”. Questo tale dunque, a un certo punto letteralmente dice: «Bisogna mettere le lavagne digitali nelle scuole, perché pensano come loro!»
Davvero, per affezionarci a una definizione così imprecisa e ambigua, dobbiamo correre il rischio di cadere così in basso?