domenica 25 novembre 2018

I gilè gialli: la rete, la politica, la responsabilità

Stavo incominciando a scrivere queste righe quando sono successi i fatti di ieri a Parigi. Però il senso del ragionamento non cambia.
Da anni tanti parlano di “rete”, ma in pochissimi casi si va oltre la parole. Si fa una confusione tra il web, libero e aperto, e i social network come Facebook o Instagram, privati e commerciali; si subisce una digitalizzazione spesso macchinosa della pubblica amministrazione, dei servizi, della scuola, in cui la tecnologia è mortificata dall’approccio burocratico e miope di umani ignoranti; si scambia per partecipazione la presenza narcisistica e rissosa nelle discussioni on line di individui isolati gli uni dagli altri o raggruppati in rigide tifoserie contrapposte, che si gridano addosso e non si ascoltano, in una competizione continua, improduttiva e frustrante; si spaccia per “democrazia diretta” la politica improvvisata su piattaforme informatiche controllate non si sa come e non si sa da chi; si generalizzano certi comportamenti osservati in settori della popolazione, soprattutto i giovani, con descrizioni che sostituiscono e anzi escludono la comunicazione con i diretti interessati.
Credo che il problema principale, culturale, umano, politico, sia l’incapacità dei più, nelle valutazioni sul mondo e sulla vita, di tenere conto dell’insieme che sta intorno ai singoli episodi, di comprendere proprio, concettualmente, la rete in cui tutti ci muoviamo, di rapporti sempre più intrinsecamente legati, anche quando crediamo di essere e di fare fa soli.

Sull’argomento, sto scrivendo più diffusamente, ma qui vorrei sottolineare in particolare un aspetto, che emerge proprio in questi giorni con il movimento francese dei gilè gialli.
La rete globale ha in sé, intrinseco, un potere enorme. Può bastare una comunicazione veloce sui social network – con tutti i loro limiti, sono un mezzo efficacissimo per far viaggiare l’informazione per tutto il pianeta – e si può mettere in moto un movimento vasto e inarrestabile, la cui forza sta nella sua struttura orizzontale, cioè senza una direzione centralizzata, e per questo difficilissimo da contrastare.
Stefano Mancuso nel suo Plant Revolution fa l’esempio dei conquistadores spagnoli, che con piccolissimi eserciti conquistarono i potenti imperi di Aztechi e Incas, ma poi non furono in grado di sottomettere gli Apaches, le cui tribù non avevano un capo.
Una differenza non da poco è che la organizzazione orizzontale degli Apaches funzionava, cioè era un modo di essere delle loro comunità, mentre la mobilitazione orizzontale dei gilèt gialli è un fatto episodico, che si svolge in un tempo e rispetto ad obiettivi limitati e circoscritti. Non è – come si sarebbe detto un tempo - “organica” a un progetto, non c’è strategia, ma tutto si risolve in una rivendicazione, un grido collettivo: no agli aumenti del carburante, Macron dimettiti! Non a caso, nella protesta popolare di pancia subito si inserisce la destra estrema, che nelle rivolte umorali ci sguazza, così come trae vantaggi enormi dalla politica fatta con i tweet, in cui semplici slogan e parole d’ordine prendono il posto di analisi, visioni complessive, progetti di lungo periodo.
Dato un mondo sempre più complesso e dipendente da ogni forma di tecnologia, in una popolazione di tecnologia sostanzialmente e programmaticamente analfabeta (che ne conosce solo la superficie brillante e ormai facilissima da “usare”, anche per gli analfabeti!) si insinuano la pretesa, l’illusione, l’ostinazione di voler dare risposte sempre più semplici. E allora la realtà facilmente va in corto circuito, con le conseguenze politiche, sociali, ambientali nefaste che conosciamo, comunità e nazioni disconnesse che si ubriacano dell’immagine della connessione, e drappelli di guru digitali che descrivono le meraviglie che con la tecnologia si potrebbero fare, senza accorgersi che quasi nessuno in effetti le fa!

La prima domanda è: dato il fatto comunque indiscutibile che quando le persone si mettono davvero in rete ne può scaturire una forza immane, il carattere episodico e “di destra” dei movimenti che ne nascono è una dato strutturale e intrinseco alla rete digitale stessa, oppure dipende anche dal fatto che questa forza immensa è maneggiata da analfabeti, cresciuti individualisti e passivi con il mercato e la televisione, e che quindi possono usare la rete al massimo per tentativi?
L’altra domanda è: sarebbe possibile, aumentando il livello di consapevolezza civica e tecnica della popolazione, avere dei movimenti in rete “rallentati”, che non scoppino solo su fatti contingenti, ma funzionino in maniera continuativa su problemi più strutturali e riescano a produrre una vera elaborazione collettiva. E questa elaborazione, potrebbe avere una forza paragonabile a quella messa in campo in questi giorni dai gilè gialli?

L’immagine di una forza orizzontale permanente in rete fa paura, perché davvero potrebbe cambiare tutto: la rete è potere! E gli umani, a cui tutto sommato non piace molto cambiare, dopo aver digerito a mala pena nei decenni passati la sbornia da automobile e televisione e essere ancora in piena sbornia da telefonini, istintivamente sembrano rifiutare soprattutto l’altra faccia del potere, cioè la responsabilità.
Che responsabilità sia sinonimo di seccature credo però sia uno stereotipo abilmente suggerito dal pensiero unico mercantile, che ci vorrebbe tutti consumatori passivi e impotenti. In realtà, privati di responsabilità, perdiamo il controllo delle nostre vite, da cui sempre più inquietudini, nevrosi, violenza. E non a caso proprio i bambini e i ragazzi, che ancora non si sono rassegnati a venire espropriati del gusto della vita, quando vengono caricati di qualche responsabilità, cioè si sentono degni di fiducia e di ascolto, di solito reagiscono con attenzione, partecipazione, entusiasmo!

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